Autore:BARISANI RENATO
N. - M. :Napoli, 1918 - 2011
Tecnica:Collage su cartoncino
Misure:50 x 70 cm
Anno:1986
Classificazione: Moderni, Astratti, Altre Tecniche
Creativamente ben in sella in particolare dall’esordio degli anni Cinquanta, ed esibendo un timbro di ricerca sempre molto personalmente motivato, nel dibattito molteplice delle vicende artistiche nella seconda metà del secolo, e specificamente punto di riferimento per più generazioni dell’avanguardia napoletana, Renato Barisani, che è certamente esponente fra i più solidi e originalmente inquieti di una aperta fenomenologia di ricerca non-figurativa in Italia appunto dall’inizio degli anni Cinquanta, accanto al proprio precipuo lavoro di pittore e di scultore (parallelo da sempre), ha praticato due collateralità ulteriormente sperimentali: la fotografia, a metà dei Cinquanta e poi alla fine dei Settanta, e il collage, da metà dei Settanta (ma con qualche rara anticipazione nei primi Cinquanta stessi). Ma collateralità non significa marginalità, nel senso di attività accessorie di sperimentazione circoscritta, quanto smarginamento sperimentale in altre pratiche operative, in genere medialmente estranee rispetto alla pittura, come appunto per esempio la fotografia; laddove certo non si può comunque dire lo sia il collage.
Già praticato dunque a metà degli anni Settanta, certamente negli Ottanta-Novanta il collage ha acquisito una consistenza particolare nella ricerca di Renato Barisani. Se infatti i primi, praticamente fra appunto 1975 e fino all’82, sviluppano temi strutturali sui quali egli ha lavorato dalla fine dei Sessanta in pittura e in scultura e soltanto rendendone in qualche misura più acuto e disinvolto l’inserto spaziale, è proprio in stretto rapporto con le formulazioni nuove d’immaginazione organica e d’allusione pittorica materica elaborate in quelli realizzati dal 1983 che è nata l’ultima intensissima stagione della sua pittura, segnata da una sorta di organicità geologica, di solido e ricco cromatismo materico. Lo avvertivo io stesso “a caldo” nel 1986 presentando l’antologica, nella Chiesa di San Paolo a Macerata, nella quale tale nuovo corso della ricerca pittorica di Barisani era per la prima volta apparso, come del resto largamente gli stessi connessi collages. Nei quali dunque, dei primissimi anni Ottanta, annotavo allora, assisti a una metamorfosi delle forme, da una loro certezza a volte quasi araldica nelle calibrate pure corrispondenze, nei profili netti e nella uniformità cromatica e materiologica (spesso legno, infine, ma sottilmente a volte venato), a una loro inflessione vagamente organica, dapprima, con un intervento di colore sfumato a spray, quindi a una loro liberazione attraverso lo strappo nei margini delle carte-forme, che interrompe dunque le forme stesse, e le pone sempre più in definitiva crisi in quanto entità di ideale perfezione e riscontro, costringendole a riconoscere la loro implicazione materica. Mentre si va definendo una nuova casistica di occasioni strutturali dell’immagine.
In effetti le carte, la cui colorazione su fondi inizialmente invece ancora compatti è tuttavia allusiva di un crescere di sensibilità materica, aprono a nuove possibilità combinatorie, formali, cromatiche, e d’allusività materica (anche carte-legno, e comunque una loro differenziazione di superfici), che introducono una dimensione d’immaginazione assai prossima alla dimensione organica. Di volta in volta impreviste, queste strutture messe al rischio d’una nuova vitalità di configurazione, giocano tutto sull’impressività emotiva, e sull’intensità fantastica del loro sempre nuovo comporsi. Si insinua una evocatività lirica nuova che penetra la struttura formale e l’accende d’una referenzialità fantastica sconfinata.
Il registro allusivo è remotamente naturale, mediterraneo per certo; ma a questo s’intreccia evidentemente anche un altro registro, chiaramente direi psicologico. Dunque tutta una nuova irruzione di motivazioni nell’immaginazione di Barisani, in una nuova liberazione di agilità fantastica. Che si dispiega nel cromatismo acceso e festante, partecipandovi spesso l’accensione stessa infocata dei fondi cromaticamente compatti. Le congiunzioni sempre nuove di elementi formali nascono a volte da un’idea strutturale (in qualche modo progettata), altre volte si configurano in modo quasi automatico.
L’immaginativo tende a inflettersi appunto in una sostanziale allusività organica, quasi con richiami di segni ed emblemi primitivi, intesi tuttavia come memoria culturale inconscia, anziché come diretto possibile riferimento. Anche se permane, come del resto sempre nel lavoro di Barisani, un’idea costruttiva dell’immagine, questo rigore è comunque interno all’inventività liberata, la sorregge e la fortifica nei suoi esiti strutturali, improntati appunto all’impressività emotiva e fantastica, nel molteplice gioco delle possibilità allusive.
Questi collages preparano la intensissima stagione dei grandi dipinti che Barisani sta vivendo dal 1985, quando cioè affronta quell’impostazione strutturale nuova e aperta attraverso il prevalente, se non esclusivo, tutto nuovo uso dell’olio e di altre materie pittoriche. Allora il respiro compositivo si fa maggiore, e la densità della struttura protagonista s’ispessisce nella sua capacità d’impatto emotivo attraverso un crescere di corpo pittorico del suo stesso tessuto, non più contrapposto al fondo, ma da questo partecipato, in una accezione materica dei valori cromatici, sempre molto accesi e forti.
Subentra allora una certa solennità, quasi una certa monumentalità, un senso di stupore. L’ingaggio fantastico è meno sbrigliato perché concorre a istituire presenze formali di grande corpo, ed estremamente solide nella loro fortissima impressività emotiva, fonda, solenne, appunto, conia, quasi nel senso si direbbe anche d’una grande epopea tellurica.
E tuttavia, pur in tale funzione di fatto preparatoria, non si trattava in realtà, chiaramente già allora, di studi per la pittura, né come tali del resto i collages si presentavano, quanto di esiti di una particolare e autonoma tipologia di lavoro, che proprio nel corso successivo di questo si è dimostrata di consistenza di tutto rispetto. E quanto illustrato in questo volume può confermarlo. A sei anni dall’antologica di Macerata, se il nuovo corso della pittura di Barisani si è venuto configurando come un’ulteriore felice stagione del suo coerente ricercare, il lavoro nell’ambito del collage ha assunto consuetudine ormai di continuità quanto peso appunto di consistenza, concorrendo, in modo dunque del tutto autonomamente complementare rispetto al lavoro pittorico, alla configurazione degli interessi e delle soluzioni che caratterizzano quest’ultima (finora) fase creativa del maestro napoletano. Tanto che è possibile delineare almeno un aspetto significativo e consistente della nuova ricerca di Barisani proprio attraverso la pratica del collage. Cogliendovi anzi specificamente sia il momento della frattura evolutiva (che si ha dunque nei primissimi anni Ottanta) fra ricerche strutturali dei Settanta e l’organicità geologica degli Ottanta, sia le particolarità di percorso di una interna vicenda a questa ultima attinente, lungo dunque una decina d’anni. Che è poi esattamente il compito che si è assunta la documentazione contenuta in questo volume.
La mentalità che presiede alla pratica del collage da parte di Barisani, più che dal procedere aggiuntivo della sua scultura strutturale “concreta” in ferro articolata spazialmente, a metà degli anni Cinquanta, nasce probabilmente dalla procedura delle sovrapposizioni di rilievi nei “legni” dei primi Cinquanta, ancora rigorosamente “concreti”, sia pure in senso segnico piuttosto che formale. E del resto qualche primissimo collage va proprio ascritto all’esperienza “concretista” dei primi anni Cinquanta. D’altra parte va ricordato che l’apporre su una superficie è anche già un gesto operativo di Renato Barisani nei suoi quadri materici informali della fine degli anni Cinquanta ed esordio dei Sessanta (ciottoli, pezzi di carbone, o frammenti di metallo, ecc., immersi in concrezioni sabbiose). Gesto che si rinnova d’altra parte, e in lucida esibizione dell’apposto, nelle proposizioni di frammenti meccanici o altro su uniformi fondi monocromi, verso e a metà dei Sessanta; più premonitori certo di collages che non di disparati assemblages.
E’ tuttavia evidente che nell’uso propostone da Barisani, sia corrispondendo alla tendenza strutturale non-figurativa, sia anticipando o accompagnando quella organico-geologica, il collage ha perso il carattere realista originario cubista, ma anche futurista, e poi dadaista, di appello testuale, dal papier collé al ready-made, all’assemblage polimaterico, a una sfera empirica, di contro dunque alla consueta dimensione idealizzata dell’immagine pittorica. Giacché Barisani impiega il collage in un senso invece meramente pittorico (o materico-pittorico, se vogliamo), con grande libertà, e lo rivendica in quanto tale quindi come “mezzo” volutamente di pittura, progettualmente praticato infatti e realizzato in quel particolare mezzo in intenzione di sondaggio e di apertura verso nuove impostazioni problematiche. Collateralità s’è detto fra collage e pittura; tuttavia può avvenire anche che nel 1984 Barisani si serva di carte dipinte irregolarmente spezzate da inserire come forme informi in un contesto pittorico-materico o meno. A conferma dunque d’una particolare prossimità fra collage e pittura, nel suo lavoro.
Quelli realizzati all’esordio degli anni Ottanta, fra 1980 e ’82, in continuità appunto con alcuni che rimontano dal 1975, li lavora apponendo carte nere o colorate, uniformemente comunque, su fondi monocromi altrettanto unitari, spesso bianchi. Carte ritagliate secondo dinamiche protensioni strutturali, quasi sondaggi spaziali di articolate anche esili strutture librate in un ampio campo spaziale. Corrispondono a un momento di massima flessibilità degli interessi strutturali di Barisani, a monte dei quali è anche un’esperienza di carattere modulare. L’impianto gioca in una svariata contrapposizione ritmica fra soluzioni di snodo sia curvilineo sia invece rettilineo, strutturalmente connesse; con esiti di eleganza essenziale. Ma ecco invece nei collages realizzati nel 1983 la frattura, la svolta problematica: le forme si presentano in imprevedibili profili, quasi soltanto curvilinei, di allusione evidentemente organica; si consociano strutturalmente in veri e propri organismi, profilati su fondi sempre compattamente monocromi, non più tuttavia prevalentemente bianchi. E sulle superfici stesse si affaccia determinante il colore: o unitario, o più spesso variato in sfumature realizzate all’aerografo. Si tratta di presenze misteriose, composte, ma tendenzialmente espanse, secondo una loro logica appunto patentemente organica, chiara, inequivocabile. Il ritaglio è regolare, a netto profilo. Mentre in quelli realizzati l’anno seguente il profilo risulta a volte a strappo, introducendo dunque un altro elemento di vitalità nelle componenti della configurazione formale. Il che contribuisce ad accentuare la connotazione organica delle forme stesse e dell’insieme strutturale, ormai chiaramente un organismo formale di continuamente reinventata conformazione.
E siamo allora paralleli al punto nel quale la sollecitazione della ricerca porta Barisani ad affrontare dunque la pittura in organicità materico-cromatica rappresa, secondo appunto una sorta di organicità geologica. E intanto nei collages la disinvoltura compositiva della invenzione strutturale si va accentuando, facendosi questa sempre più ricca e libera negli anni seguenti, in dislocazioni maggiormente articolate e fortemente impressive E che s’accampano non più centralmente ma, in alcuni del 1986 per esempio, invadendo espansivamente il campo del fondo, sempre cromaticamente risonante come supporto unitario. D’altra parte Barisani procede anche per sovrapposizioni: vale a dire duplica il procedimento a collage su alcune forme, provocandovi dunque una varietà interna, una loro particolare ricchezza, e intervenendovi sempre con il colore, ma non più soltanto ad aerografo, bensì anche a olio. Le forme stesse, dal profilo ritagliato o strappato, acquistano quindi un’ulteriore ricchezza pittorica, e una più dipanata possibilità di suggestioni evocative, in un accenno quasi narrativo. Che sembra farsi più forte in alcuni collages realizzati nel 1988, in soluzioni ove più ricca risulta anche la componente propriamente pittorica (a olio, o ad acrilico), che svaria le intense configurazioni delle sagome, attribuendo loro quasi effetti di spessore.
Pittura insomma più corsiva, più duttile, più fresca in certo modo, che si serve della carta come supporto ma anche come materia, quella che Barisani realizza nei collages in particolare della fine degli anni Ottanta. E a un certo punto è anche superata la distinzione fra fondo e forme stesse; queste non più iscritte sovrappositivamente su un fondo, ma a questo medesimo connesse in una unitaria configurazione d’immagine, dunque più articolata ma non più in certo modo graficamente, quanto con la stessa ampiezza e il medesimo respiro compositivo dei contemporanei dipinti. E da qui avviene, nel caso di alcuni collages, che sul fondo stesso, ad annullarne ulteriormente ogni alterità, Barisani intervenga pittoricamente, così che allora il collage, più che mai pittorico, risulti di fatto l’apposizione di una sagoma-forma di pittura su un fondo pittoricamente anch’esso elaborato, e la forma medesima sia a sua volta campo di ulteriori apposizioni a collage, e queste stesse siano pittoricamente aggettivate.
Ove si vede che l’operare collagistico è divenuto per Barisani un altro modo effettivamente collaterale di fare pittura, seguendo tutte le possibili accensioni e inflessioni immaginative, con assoluta libertà strumentale. Anche se resta alla forma collage un ruolo in certo modo tipicamente ostensivo della costruzione dell’immagine che la pittura capovolge invece in qualche misura nell’introiettamento dei segni nel contesto della materia cromatica appunto come in una ispezione di geologia organica. Ma certo gli ultimi collages, di quest’esordio degli anni Novanta, sembrano anche voler riacquistare il ruolo di sperimentazione che ne ha configurata, da parte di Barisani, originariamente la pratica. Nel senso che ritornano anche a costruirsi utilizzando sagome d’impianto pur curvilineo tuttavia in qualche modo più geometricamente apprezzabile. Non comunque quale scelta univoca, ma in una sorta di alternativa a soluzioni più pittoricamente complesse.
D’altra parte il repertorio materiologico messo in campo nella pratica collagistica di Barisani si è andato estendendo dai cartoncini naturali o colorati, a quelli appunto preparati ad acrilici o a olio, o a spray, fino a sfoglie di legno, a fogli fotocopiati, a formica. E certamente è anche tale diversità di materie impiegate a rendere estremamente ricca la gamma espressiva di queste opere. Che ormai nel lavoro di Barisani costituiscono una costante tipologica di indubbia rilevanza. Oltre che appunto costituire nella storia dello specifico particolarissimo mezzo che è il collage nella fenomenologia dell’arte contemporanea un capitolo nuovo, tutto affidato appunto a una loro esuberante valenza di originale pittoricità.
Renato Barisani nasce a Napoli nel 1918. Terminati nel 1938 gli studi di scultura a Napoli, vince una borsa di studio che gli consente di frequentare i corsi di perfezionamento presso l‘ Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (I. S. A. I.), di Monza, tenuti da Semenghini, Pagano e Marino Marini. Nel 1945 vince il primo premio di scultura alla I Mostra dei Liberi Artisti Campani. Forma con Renato De Eusco, Guido Tatafiore e Antonio Venditti, il Gruppo napoletano di Arte Concreta. Partecipa alla mostra di Arte Astratta e Concreta in Italia, realizzata dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma nel 1951. Nel 1952 ottiene il Premio per Giovani Scultori indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Partecipa, nel 1953, alla mostra di Arte Astratta Italiana e Francese alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, con due sculture in ferro. Partecipa alla XXXI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1962. Dal 1960 al 1963 aderisce alla Nuova Scuola Europea di Losanna, ed in questa città ottiene, il II Premio Svizzero di Pittura Astratta. Dal 1975 al 1980 partecipa al gruppo napoletano “Geometria e Ricerca”. Ha insegnato a Napoli materie artistiche negli Istituti d’Arte e nei Licei Artistici e, dal 1978 al 1984, design presso l’Accademia di Belle Arti. Muore a Napoli nel 2011.