Autore:CATELLI CAMILLO
N. - M. :Napoli, 1886 - 1978
Tecnica:Olio su masonite
Misure:50 x 70 cm
Anno:1958
Classificazione: Paesaggi, Oli, Figurativi, Classici
Catelli Camillo nasce a Napoli il 18 agosto 1886. All’età di dieci anni perde il padre e viene affidato al nonno. Nel 1916, in piena guerra, si sposa con Virginia Russo, sua amata da sempre. Dal matrimonio avrà cinque figli. Finita la guerra, intraprende un’attività industriale che lo porterà ad avere una discreta agiatezza economica, fino alla crisi mondiale del 1929, che lo travolge costringendolo a lasciare tutto e trasferirsi con la famiglia sulla collina dei Camaldoli, dove possiede un casolare e un appezzamento di terra isolato dalla città. Inizia, così, la dura vita di agricoltore durante la quale dovrà abbandonare la pittura. Questo difficile periodo terminerà solo con la fine della guerra nel 1945, quando i tre figli maschi tornano sani e salvi dalla prigionia nei campi di concentramento nazisti. Con l’aiuto dei figli, il suo lavoro di contadino diventa meno pesante e può dedicarsi alla sua vera passione: la pittura. I soggetti sono quelli che fanno parte della sua quotidianità: i ritratti delle donne di casa, le scene del lavoro nei campi, gli animali della fattoria, il paesaggio rurale e tutto ciò che colpisce la sua ispirazione. Man mano la passione diventa una necessità che lo impegnerà per gran parte della giornata e della vita. Entra in contatto con gli artisti dell’epoca Emilio Notte, Francesco Galante, Franco Girosi, Giovanni Tizzano e Saverio Gatto. Nel 1956 la sua prima mostra personale alla Galleria Del Ponte di Napoli, è un successo. Da questo momento la sua carriera non conosce pause, fino alla morte, che avviene a Napoli nel 1978 a 92 anni.
Anche se con una scelta di soggetti ancora ingenui, sin dal primo periodo (fino al 1929), la sua pittura, mostra una costante volontà di andare al di là della rappresentazione del “vero”, attraverso la deformazione dalla forma, che rende i paesaggi quasi fiabeschi e surreali e i ritratti dotati di una forte espressività.
Il secondo periodo che va dal 1940 al 1960, segna una ripresa dell’attività artistica dopo una lunga pausa forzata, disegnando a carboncino. I temi sono legati alla sua esperienza quotidiana e risultano più interessanti rispetto al passato. Dal 44, riprende ad usare la tecnica ad olio, usando il colore con spregiudicatezza, caratteristica fondamentale di questo periodo.
L’ultimo periodo (1960 – 1978) è quello della maturità artistica. Le opere realizzate in questo ventennio rappresentano i più alti raggiungimenti del pittore Camillo Catelli. La ricerca pittorica si spinge verso una sintesi colore-forma, ottenuta attraverso impasti cromatici densi. Di particolare interesse risultano i ritratti e le nature morte.
Avessi vent’anni, fossi un ragazzo con barba e calzoni colorati e stracciati, volessi «tutto» e mi possedesse una grande anarchica rabbia, contesterei proprio lui, Catelli Camillo, patriarca e «re» fuori tempo di una piccola, artificiale comunità arcaico agricola: la sua famiglia numerosa come le foglie delle foreste, secondo l’antico linguaggio dei pellirosse delle nostre letture infantili. Comunità fitta di figli, nipoti, pronipoti, uno stormo infinito di piccerilli, di nuore, cognate, tutti stretti intorno al gran patriarca, lassù, sulla vecchia collina dei Camaldoli, in un’antica casa di campagna, dove le cime degli alberi entrano attraverso le finestre, e le erbe crescono sulla soglia, e le galline razzolano per le stanze, e dove fa giorno prima che altrove, ai primissimi squilli del gallo. Ed è qui, in questa specie di reggia di Alcinoo da periferia napoletana, che lui, il gran vecchio, da tre quarti di secolo dipinge campagne e fiori, cieli e alberi, musi di animali e volti umani, con la calma di chi si senta appartato dalla storia e dai drammi, dalle crudeltà di quel che avviene negli annali del mondo. Perciò tutto da contestare e da rifiutare, se poi non ci si avvedesse che, al di là dell’arcaica oleografia, c’è la pittura del Vecchio; tutto da respingere, ripeto, se non ci fossero queste sue immagini, per nulla «calme», per nulla tranquille, per nulla idilliche, cariche anzi di tutto il contrario di certa nefasta pittura campagnola di genere napoletanesco: immagini in cui straordinarie «deformazioni» del volto e della figura umana si apparentano, per vie segrete, ai momenti più intensamente ed espressivamente drammatici della grande pittura europea del nostro terribile secolo. E allora, niente gran patriarca, e niente inappartenenza alla storia umana e alla storia della pittura contemporanea; ma un grande artista, creatore d’impressionanti figurazioni illuminate dalla sua responsabile, tormentata innocenza.