Autore:DEL DONNO ANTONIO
N. - M. :Benevento, 1927 - 2020
Tecnica:Tecnica mista su tela
Misure:100 x 80 cm
Anno:2004
Classificazione: Moderni, Altre Tecniche, Astratti
L’opera “Ricordi” è firmata in basso a destra e registrata presso l’Archivio Antonio Del Donno.
Il XX secolo ha visto l’arte italiana sempre in prima linea con movimenti che ne hanno caratterizzato ricerca e sperimentazione nel rispetto di una memoria storica che ha evitato soluzioni schematiche e riduttive. Dalle Avanguardie storiche alla Neoavanguardia, dal Futurismo all’Arte Povera, dalla Metafisica alla Transavanguardia è possibile riscontrare una linea mediterranea e cosmopolita dell’arte italiana capace di rappresentare la modernità ma senza appiattirsi sui modelli nordeuropei ed americani. Indubbiamente l’arte contemporanea, operando in un contesto ad alto sviluppo tecnologico, ha adottato nel suo svolgimento un metodo di analisi e riduzione linguistica che meglio mettono in evidenza le volontà di comunicazione nella società di massa. Se il Minimalismo nordamericano confina sempre con la pura riduzione geometrica, lo standard del grattacielo e della forma semplice, è possibile rintracciare uno standard italiano, capace di trattenere nel rigore delle proprie forme tratti di complessità non riducibili alla pura geometria. Antonio Del Donno presenta le sue nuove opere (pittura e scultura) in una mostra che (non per la prima volta a livello internazionale) evidenzia temi universali dell’arte italiana, partendo dal Futurismo e arrivando ai giovani artisti d’oggi. Questa mostra ricerca, in particolare, quella linea che si dipana dal dopoguerra ad oggi giungendo spesso in anticipo su molti fatti internazionali. Quale antesignano di tale linea qui si indica un grandissimo artista (Leonardo) di cui credo sempre più sarà chiara la priorità nel processo che porta alla nascita dell’astrazione, che non significa astrattismo ma piuttosto capacità di cogliere l’immagine nella sua struttura concettuale. È curioso notare come in quasi tutti i casi l’origine dell’astrazione sia legata ad un sostrato di cultura esoterica: Piaccia interessato all’alchimia, Mondina vicino alla teosofia. In quasi tutti i casi inoltre l’”invenzione” dell’astrazione nasce a stretto contatto con la musica, la più immateriale delle arti basata su astratti e matematici rapporti: il precursore Ciurlonis, l’artista lituano che influenzò Kandinskij, era anche musicista. La moglie di Picabia, Gabrielle Buffet, era allieva del maestro Busoni, il musicista ritratto in una delle ultime magistrali opere di Boccioni, che per altro in uno scritto su Balla ne evidenzia la “purezza suprema, una specie di sensibilità scientifica che doveva condurlo fatalmente all’interpretazione presente”. Per Giacomo Balla il principio dell’astrazione è nell’analisi della luce. “Le competizioni iridescenti” scompongono la luce nei suoi colori disposti secondo forme triangolari che corrispondono alla struttura del raggio luminoso. È la riduzione dell’arte al suo elemento essenziale, la luce, e di questa le sue componenti di base. Senza dubbio il valore della progettualità assume un peso determinante nella strategia linguistica dell’arte italiana dalla fine del Quattrocento alla fine del XX secolo, in quanto portatrice di particolari articolazioni della materia ideata dall’artista. Egli predispone una forma iniziale che si sviluppa progressivamente attraverso momenti modulari che moltiplicano, senza ripetizione, quello di partenza. Già la prospettiva rinascimentale, forma simbolica di una visione antropocentrica del mondo ed esaltatrice della ragione, opera sulla rappresentazione dello spazio mediante l’uso della geometria euclidea. Questa geometria nel suo impiego presuppone il senso della misura e di una resa iconografica essenziale. Astratto o figurativo, come si evince nella Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, il motivo pittorico diventa oggetto di una rappresentazione filtrata da un occhio progressivamente analitico, che farà affermare a Leonardo da Vinci: “la pittura è cosa mentale”. Tale mentalismo sostiene lo sviluppo dell’arte italiana anche attraverso l’accelerazione spaziale del Barocco e regge finanche il suo passaggio dall’Ottocento al Novecento, fino alle sue prime decadi occupate dal Futurismo alla Metafisica, producendo fenomeni di espansione ed assottigliamento formale. Pure l’opera scultorea di Medardo Rosso, precedente a questi movimenti di avanguardia in qualche modo è attraversata dal desiderio di smaterializzazione, il tentativo di portare la scultura verso uno stato pittorico, assorbendo in tal modo una sensibilità scientifica tipica della propria epoca. Anche la Metafisica di De Chirico fonda la propria iconografia su uno spaesamento dell’immagine sotto il controllo della misura prospettica. Anche qui un senso della misura tende a dare essenzialità e nitore epifanico all’immagine. In qualche modo una progettualità tutta italiana regge la mentalità dell’arte di Antonio Del Donno, una interpretazione della modularità intrisa da un esprit de géometrie, un vapore mentale diffuso che tocca i versanti della produzione iconica e di quella aniconica. Il modulo diventa l’elemento strutturale che fonde la possibilità della forma giocata sempre sulla complessità che moltiplica potenzialmente all’infinito la sorpresa della geometria. Convenzionalmente la geometria sembra essere il campo della pura evidenza e dell’inerte dimostrazione, il luogo di una razionalità meccanica e puramente funzionale. In questo senso sembra privilegiare la premessa, in quanto la conclusione diventa lo sbocco inevitabile di un processo deduttivo e semplicemente logico. L’artista italiano ha invece fondato un diverso uso della geometria, come campo prolifico di una ragione irregolare che ama sviluppare asimmetricamente i propri principi, adottando la sorpresa e l’emozione. Ma questi due elementi non sono contraddittori col principio progettuale, semmai lo rafforzano mediante un impiego pragmatico e non preventivo della geometria descrittiva. Non a caso l’artista passa continuamente dalla bidimensionalità del progetto all’esecuzione tridimensionale della forma, dal bianco e nero dell’idea all’articolazione policromatica. A dimostrazione che l’idea ingenera un processo creativo non puramente dimostrativo ma fecondante e fecondo. Infatti la forma finale, bidimensionale o tridimensionale, propone una realtà visiva non astratta ma concreta, pulsante sotto lo sguardo analitico ed emozionante dello spettatore. Il principio di una ragione asimmetrica regge l’opera che formalizza l’irregolarità come principio creativo. In questo senso la forma non si esaurisce nell’idea, in quanto non esiste fredda specularità tra progetto ed esecuzione. L’opera porta con sé la possibilità di una asimmetria accettata ed assimilata nel progetto, poiché partecipa della mentalità dell’arte moderna e della concezione del mondo che ci circonda, fatto di imprevisti e di sorprese. In tal modo il concetto di progettualità viene investito di un nuovo senso, non rimanda più ad un momento di superba precisione, ma semmai di verifica aperta, seppure pilotata da un metodo costruito mediante la pratica e l’esercizio esecutivo. Il metodo rimanda naturalmente ad un bisogno di parametro costante e progressivo, ancorato ad una coscienza storica del contesto dominato dal principio della tecnica. La tecnologia sviluppa processi produttivi, ancorati sulla standardizzazione, l’oggettività e la neutralità. Principi costitutivi di una diversa fertilità rispetto a quella costruita sulla tradizionale idea iper-soggettiva della differenza. In questo Antonio Del Donno, artista italiano classicamente moderno, è portatore sano di un’arte capace di produrre differenze mediante la creazione di forme che utilizzano standardizzazione, oggettività e neutralità in maniera fertile, capace di filtrare nell’immaginario di una società di massa pervasa dal primato della tecnica e da questa svuotata di soggettività. Ma questo svuotamento non è visto come una perdita, come potrebbe sembrare ad una mentalità tardo-umanistica o marxista. Invece diventa il portato di una nuova antropologia dell’arte alla fine del XX secolo e del secondo millennio ed in cammino verso il 2000.
Antonio Del Donno (Benevento, 1927 – 2020) studia all’Istituto tecnico per geometri a Benevento, manifestando interesse per il disegno tecnico architettonico e l’estetica della geometria. Trasferitosi a Napoli, frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia delle Belle Arti. Ottiene la cattedra di Educazione Artistica presso la Scuola Media Vitelli di Benevento. Tra il 1960 e il 1970, insieme all’amico Mimmo Paladino, frequenta la galleria di Lucio Amelio a Napoli. Determinante per la sua ricerca artistica è la scoperta, alla Biennale di Venezia del 1964, delle opere di Robert Rauschemberg, artista che adopera nei suoi dipinti il riporto fotografico, gli oggetti, e collega il tutto con pennellate violente. La prima personale è del 1962 presso la Pinacoteca Provinciale di Benevento. Rauschemberg, Tapies, Vedova, Schifano, Warhol diventano i riferimenti di Antonio Del Donno, che sviluppa un linguaggio pittorico scevro da qualsiasi accademismo e retorica. Manipola il ferro, il legno, realizza oggetti e sculture. Sono del 1972 i “Vangeli”, tavole di legno che riportano con caratteri stampati a fuoco alcuni versetti del Vangelo. La sua arte richiama ironicamente il mondo della pubblicità, critica il consumismo e la superficialità, chiaramente nei cicli: i Contenitori di luce, le Tagliole, i Vangeli e i lavori successivi. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2017, Benevento e Santa Croce del Sannio hanno dedicato ad Antonio Del Donno tre giorni di mostre, convegni ed incontri. Nel maggio 2018 la trasmissione Mezzogiorno Italia di Rai3, lo inserisce nei 100 artisti viventi più importanti al mondo. Nel 2019, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, viene nominato Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Hanno scritto di lui, tra gli altri, Achille Bonito Oliva, Mirella Bentivoglio, Filiberto Menna, Enrico Crispolti, Giuseppe Galasso.