Autore:CAFIERO MARGHERITA
N. - M. :Piano di Sorrento, 1948
Tecnica:Tecnica mista su cartoncino
Misure:36 x 24 cm
Anno:1997
Classificazione: Nature morte, Moderni, Altre Tecniche
Margherita Cafiero nasce a Piano di Sorrento nel 1948. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Napoli, si iscrive alla Scuola di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti diplomandosi nel 1970. Fin dagli anni giovanili l’interesse della Cafiero è rivolto al colore, indagato nelle sue infinite gamme attraverso una costante sperimentazione di tecniche atte a rivelarne il forte potenziale espressivo. L’uso del pastello, che caratterizza gran parte della sua produzione, è per l’artista una scelta che va ben oltre le possibilità di produrre delicate sfumature di colore e rarefatte atmosfere, proprie della più stupefacente cultura artistica settecentesca. L’attenzione, il procedere lento e deciso, la meticolosità legate alla tecnica del pastello permettono di cogliere aspetti e momenti imprevisti di una realtà che ormai sfugge allo sguardo di una società caratterizzata da tempi sempre più accelerati. Le matite colorate, nel loro lento susseguirsi, riproducono sul foglio l’atto della creazione in cui la forma in sé assume valore assoluto e produce, attraverso associazioni e rimandi, una ricchezza di significati e di messaggi, superando la rappresentazione stessa dell’oggetto. Per Margherita Cafiero l’arte offre la possibilità di cogliere il segreto della vita celato nella natura, di captarne il battito profondo e di fermarlo ancora palpitante sul foglio perché non se ne perda la memoria. Al vuoto, alla perdita e all’indistinto di un mondo sempre più legato a valori globali e di massificazione l’artista, con una determinazione che rasenta quasi un atto di ribellione, richiama l’attenzione al dettaglio, al particolare, quali segnali di una individualità e specificità dell’essere contro ogni tentativo di astratta e approssimativa classificazione. In Quelli della P.38 o nei Zezi, opere tra le più significative eseguite negli anni Settanta, la Cafiero, attraverso un linguaggio che rivela grande rigore e compostezza formale, pone l’accento proprio sul tema della ribellione come affermazione del sé e della propria esistenza al di fuori di ogni giudizio morale e sociale. Il rispetto per la storia, come espressione della presenza dell’uomo, porta l’artista a una serie di ritratti, eseguiti lungo il corso degli anni Ottanta, volti a cogliere, attraverso la fattezza dei volti, aspetti e momenti della cultura degli indiani d’America, destinata ad essere totalmente cancellata dalla follia dell’uomo, che nel suo delirio di onnipotenza distrugge la natura, sua primaria fonte di vita. Nei segni che si susseguono a determinare le fattezze dei visi e nei simboli che li decorano traspare il profondo rispetto verso una civiltà che con la natura aveva stabilito un intenso rapporto d’amore, rinnovato quotidianamente attraverso un rituale fatto di magia e realtà. Un abbandono, dunque, alla natura per coglierne gli aspetti più reconditi che conduce l’artista a trattare con lo stesso metodo e con la stessa felicità il tema del mare ne Pesci del Mediterraneo, un volume presentato da Folco Quilici e con testi di Flegra Bentivegna, curatrice dello storico acquario della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. Accuratissime tavole con la raffigurazione di pesci, che richiamano alla memoria le seicentesche nature morte di Recco e Ruoppolo, si susseguono per dar vita al fantasmagorico mondo marino. Ma anche in questo caso le illustrazioni rivelano un’intenzionalità che va ben oltre l’obiettivo di funzionalità del testo. I suoi “prelievi” da frammenti di una realtà che spesso ci sfugge assumono il significato di simboli iconici di un mondo destinato all’oblio, che la mano dell’artista recupera per offrirli alla visione.
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Pur partecipando a numerose esposizioni nazionali e internazionali, tra le quali meritano attenzione gli Incontri Internazionali Syncron a Rimini nel ’71, la VII Rassegna del Mezzogiorno, presso il Museo di Villa Pignatelli, a Napoli nel ’72, La Scuola di Napoli, alla Galleria Numerosette, a Napoli nel ’77, Le stanze poetiche di Villa Patrizi, a Napoli nel ’96 e infine Scritto nella polvere, presso l’Ospedale della Pace, sempre a Napoli nel ’97, Margherita Cafiero per scelta ha voluto sempre tenersi lontana dai luoghi pubblici e ha preferito, come tante donne, lavorare “nell’ombra” e nel silenzio, scelta che le ha dato quella rara possibilità di maturare una ricchezza di percezioni capaci di creare immagini fantastiche ma vere, perché vive e tangibili.