Autore:NAPOLETANO ANTONIO
N. - M. :Portici, 1953 - 2024
Tecnica:Matite su cartoncino
Misure:50 x 35 cm
Anno:2024
Classificazione: Figure, Altre Tecniche, Figurativi, Moderni
La sensualità della figurazione di Antonio Napoletano è tutta immersa in un pulviscolo atmosferico che toglie lucidità e trasparenza al cristallo visivo: una luce rosso-dorata avvolge le figure, gli oggetti, accompagnando emerge, smarrimenti espansioni, modulazioni Di luminosità. I gesti sottolineano l’atteggiamento assorto, contemplativo di chi ascolta voci lontane di dentro, ripercorre ricordi, lascia risuonare e vibrare sensazioni, emozioni, percezioni sul corpo e nell’intimo, dilatando il tempo e la coscienza, smarginando ogni limite apparente per suscitare il senso di una continuità spazio-temporale, come in una lunga sequenza per fotogrammi, in un’atmosfera di “spleen”, di malinconia e nostalgia commiste e dense, saturanti lo spazio psichico, l’anima. E sono malinconia e una nostalgia di sensi accesi, come dopo un incontro d’amore che lasci impronte scavate (convesse) sul corpo percorso dalla luce, vuoti brucianti di carezze, estesi languori. I gesti, e le positure e figure simboliche guidano nello spazio psichico e raccontano le emozioni, le risonanze, intime, materializzano la memoria di eventi che restano assolutamente privati, ma la cui persistenza nel fuoco dell’attenzione, del pensiero rammemorante (che ricorda, portando al cuore, e rammenta, portando alla mente) è conferma di intensità, durata e profondità. L’attitudine delle giovani fanciulle è quella di un’astrazione temporale tutta riflessiva, in cui il ripensamento del passato appena vissuto si innesta all’attesa di un prossimo futuro (ti trovavo quando ti perdevo…, Il gioco iniziava nel momento stesso in cui finiva…, Nel doppio del tuo cuore la memoria di una speranza…) e l’assenza di pareti, con fondali che si aprono a paesaggi sfumati, a profondità come densa materia psichica, costituisce una sorta di efficace espediente di scenotecnica per dare una percezione di lontananza fisica e temporale, di distacco avvenuto (Ancora una volta lontana…) o imminente (Se fosse possibile restare…) e desiderio, attese del rinnovarsi di contatti di abbracci, di unione (“Nell’immaginare i tuoi ritorni si aprivano squarci…”).
Il tema più vero sotteso da queste lunghe, e in certo senso “estenuanti” o estenuate sequenze è forse quello del distacco, delle “partenze” e delle “attese” e dell’emozione psichica e fisica che producono un’emozione davvero ricca di risonanza e di contagiose sospensioni meditative saturanti le atmosfere e i sensi (“Ogni volta eri altro da te”) catturati e trattenuti nella “bambagia” luminosa e tenera di un eros acquietato ma ancora pregnante. Il paesaggio, quadro nel quadro piuttosto che luogo di accadimento, segnala la dilatazione della sensibilità e della sensualità interna, un espandersi all’emozione di nostalgia, un torpore tranquillo, un’assorta meditazione, l’ascolto, un sogno inseguito ad occhi aperti. Il tavolino, la poltrona, sono i dati della “stabilità”, complementari a quelli della “motilità”, del sentimento e dell’immaginazione, che da una parte svagano oltre i limiti apparenti, dentro un paesaggio, appunto, dall’altra richiedono precisi elementi di riferimento simbolico, oggetti (frutti, fiori, scarpa, camicia, cravatta, panneggi vari, tazzina e caffettiera, tazzine Rotte che innescano la percezione del frantumarsi di una situazione psicologica, un’interruzione di feeling) e gesti della figura. Si può dire che Napoletano continui ed aggiorni, nel suo singolare “spleen” pittorico-poetico, le ragioni sensitive, emozionali dei realismi magici più o meno recenti, da De Chirico a Felice Casorati, dai Bueno, Annigoni e Sciltian ai più recenti anacronismi e citazionismi. In un certo senso, ma non dà tutto lato, mi pare che calzino adeguatamente le espressioni con cui Baudelaire pone la poesia alle ragioni del simbolismo in quanto capace di tradurre, di decifrare la segreta armonia dell’universo. “Io -scrive l’autore dei Fiori del male e di Spleen di Parigi- voglio illuminare le cose con il mio spirito e proiettarne il riflesso sugli altri spiriti”. Anche la pittura sa cogliere e raffigurare i più segreti moti della sensibilità e della coscienza, rendere la potente naturalezza della realtà, con i sensi scoperti sia al piacere che al dolore, quello dei ricordi carezzati nell’intimo e quello delle nostalgie acute, delle assenze, ponendosi davvero a soglia tra il quotidiano scorrere degli eventi e delle esperienze ordinarie, e l’allusione al soprasensibile e la sua contemplazione.
La pittura diventa così una via d’illuminazione, e certamente la via di meditazione e di illuminazione di Antonio Napoletano, alla quale l’artista accede in virtù di una serie di esperienze collaterali rese nei simboli (frutti: arance, melagrane, pera, limone; fiori: iris, calle; drappi e indumenti come cappelli, calzettoni, cravatta, camicia; e gesti più di concentrazione e di indagine introspettiva che di azione). Il corpo anzi è in uno stato di disteso ed espanso torpore dei sensi e la luce scivola sulle sue articolazioni, ora dilagando e scivolando chiara, ora condensandosi e piegandosi in ritmi sulle sue architetture e sui panneggi, offrendosi come momenti di premonizione, o di collegamento o contrasto di idee e di emozioni, di memorie, o di attesa in cui giocano come riferimenti piccole consuetudini private, allusioni letterarie psicologiche che a volte precedono, altre seguono, introducono o chiudono, l’esperienza umana, sentimentale e intellettiva di cui l’opera vuol essere testimonianza (“la mia storia nel tuo destino”). È indubbiamente questo il senso della pittura di Antonio Napoletano, sequenza di soggetti umani, giovani donne per lo più e qualche rara coppia intenti o meglio, esplicitamente concentrati in gesti alla prima apparenza davvero semplici da decifrare: ma in realtà, una lettura solo denotativa, ovvero solo o più incentrata sulla narrazione che sulla qualità e intensità del dato pittorico, sarebbe davvero inadeguata e certamente fuorviante anche sul piano dei significati; così come la presenza di icone simboliche frequenti (fiori, frutti, drappi, tavoli, tazze, sfondo come quadro nel quadro e dunque continuità tra reale e sogno) non intende far slittare il piano della lettura e della comprensione dei significati a livelli esoterici, ma, piuttosto, darsi come catalizzatore di attenzione e di coscienza, espediente e strumento di provocazione di certi tipi di reazioni subliminali, mai interamente riconducibili al livello della coscienza, e che l’autore si propone di innescare nel riguardante per portarlo a un sempre più elevato grado di assorbimento e di partecipazione percettiva, emozionale, ed intellettiva al fatto pittorico, dove la materia cromatica diventa accesa e provocante atmosfera di evocazione e di racconto psichico, portata anche tecnicamente a zone speciali di sensibilizzazione luministica.
Antonio Napoletano nasce a Portici nel 1953. Dipinge sin da giovanissimo imparando i rudimenti della pittura da autodidatta. Diventa professore di Storia e Filosofia presso il Liceo scientifico statale della sua città. Realizza numerose mostre ed esposizioni personali in tutta Italia. Muore a Portici nel 2024.
Il 18 Ottobre del 1983, Nazario Boschini scrive di lui in occasione di una mostra tenuta alla galleria “Il Torchio” di Modena:
“Nei suoi quadri appaiono insieme figure, panneggi, animali, simboli, allusioni: tutto senza addensamenti o contrasti, ma filtrato da un’armonia che è nel segreto delle cose e della coscienza. Per cui uno sguardo, una fissità, un atteggiamento costituiscono una traccia ad un vasto comporre che non è racconto dipanato, ma invenzione tutta tessuta sull’orlo del mistero. I soggetti appaiono come realtà colte in modo obiettivo e simultaneamente riflesse da uno specchio. Questa impressione di specularità viene suggerita da una luce bianca ma non fredda, mossa dalle stesse emozioni frementi e statiche insieme che animano le figure.
La composizione di Antonio Napoletano è mentale, ma pone al suo centro il reale: al centro del dipinto c’è la persona, con tutta la sua dolente e misteriosa umanità, ma l’introspezione avviene al di fuori, tramite segnali, allusioni, panneggi; un’atmosfera ferma e chiara, che sembra celare sotto la fissità fremiti romantici, quasi di inconfessato rimpianto”.