Armando De Stefano, Attori

Autore:DE STEFANO ARMANDO

N. - M. :Napoli, 1926 - 2021

Tecnica:Olio su tela

Misure:70 x 50 cm

Classificazione: Figure, Oli, Figurativi, Moderni

Note Critico - Biografiche

Armando De Stefano 

Napoli, 1926 – 2021

 

 

Attori

Dipinto del pittore Armando De Stefano (Napoli, 1926-2021), olio su tela 70x50 cm raffigurante tre attori in costume
Olio su tela 70×50 cm

 

L’opera di Armando De Stefano è firmata in basso a sinistra “A. De Stefano“. Titolo e firma sul retro del telaio.

 

 

 

Armando De Stefano 

Si può usare per un pittore la definizione di narratore visivo? Per Armando De Stefano la definizione risulta propria: De Stefano racconta storie, mette in scena commedie drammatiche, organizza rappresentazioni allegoriche.

Dopo il ciclo figurativo dedicato (tra il 1967 e il 1968) a Jean-Paul Marat (il giacobino idolatrato dal popolo di Parigi), dopo il «Ciclo di Tommaso Aniello» (Masaniello, «l’inquieto e temerario pescivendolo di Napoli») del 1970-1975, dopo il «Ciclo di Odette» (del 1973-1977) dedicato a «Vita, persecuzione, morte e resurrezione di una giovane borghese innamorata di un proletario anarchico», eccolo proporci, con spregiudicato coraggio e coerente vitalità immaginativa, il «Ciclo del Profeta», iniziato nel 1978 e ancora aperto: i protagonisti del «Ciclo del Profeta» sono Giovanni Battista, Cristo e Maria sua madre, antieroi, secondo De Stefano, umanissimi e libertari che incarnano, come Marat, Masaniello e Odette, uno scandaloso (profetico) destino di riscatto morale.

I cicli di De Stefano sono romanzi scenici, affreschi teatrali, melodrammi costruiti attraverso sequenze pittoriche, che sfruttano la tecnica cinematografica dei piani e contropiani, i ritmi mimici del balletto e della danza, la funzione rituale che armonizza nello spazio del palcoscenico il gesto degli attori e la scenografia che svolge un ruolo di maschera.

A proposito delle rappresentazioni pittoriche di De Stefano sono stati chiamati in causa il teatro liturgico-misterico di Lope de Vega e il cinema epifanico di Bergmann e Bunuel: certo vi si rintracciano analoghi contrasti tra idealismo ed esistenzialismo, tra ieraticità simbolica e realismo fisico; ma la sacralità di De Stefano, non è, come in Lope de Vega o Bunuel, religiosa; un elemento libertino e liberty, sostanzialmente laico anche se non parodistico, richiama, nei suoi racconti per immagini, alla memoria più propriamente “Il fiore delle mille e una notte” di P.P. Pasolini e “La commedia dei mendicanti” di John Gay.

Nell’ispano-napoletano De Stefano, che riprende la lezione del sulfureo espressivismo dello Spagnoletto, convivono pathos ed eros, innocenza e ambiguità, in una ritualità non liturgica, che usa, in un percorso di ascesi stoica, persino la perversa provocazione peccaminosa di Salomé.

Marat, Masaniello, Cristo: Armando De Stefano mostra una ferma predilezione per il ricupero del valore simbolico di certi personaggi storici anticonformisti, profeti dell’utopia dell’innocenza, della speranza e della convivenza. Ma De Stefano non celebra la Storia: tantomeno la glorifica. I suoi antieroi sono, anzi, vittime esemplari dei poteri storici formali; agnelli sacrificali, vittime di persecuzioni e crocifissioni.

La storia autentica, moralmente educativa, è per De Stefano quella basata sulla catena di ribellioni, martirii e riscatti che lega i suoi poveri di spirito, interpreti di una riconsacrazione umana dell’esistenza. La Storia con la S maiuscola è, invece, la Peste di Napoli, il Giardino Morto di Odette, la Fuga di Giuda: un museo mortuario, un mausoleo della distruzione per uscire dal quale ci è d’aiuto solo il filo di Arianna dell’amore (anche corporale). La pittura di De Stefano celebra, dunque, la Resistenza del Privato contro la Storia. Ogni vicenda dei suoi personaggi, anche quella di Cristo o di Maria, descrive un percorso di ricerca di identità personale: e i miracoli (di strazio o felicità) in cui sono coinvolti, non sono testimonianza del divino — non sono sublimazione — ma solo un riconoscimento o un’appropriazione di umanità.

Il Cristo di De Stefano assomiglia molto all’«uomo di Nazareth» di Anthony Burgess e Maria ha molto in comune con la silenziosa e protettiva madre terrena di Gesù proposta da Pasolini nel “Vangelo secondo Matteo”: protettiva come tutte le donne dei tazibao maieutici di De Stefano che sono madri anche quando sono amanti. De Stefano mette in scena le vicende dei suoi eroi per riviverle in una liberatoria drammaturgia mimica e mimetica: acutamente Testori ha parlato a proposito delle sue raffigura­zioni, di «narcisismo giudicante e sacrificale». Le parole che pronunciano e vivono i personaggi di De Stefano sono ardore, amore, furore, in alternativa ad orrore, terrore, dolore. Benché sia passato da Marat a Masaniello, personaggi mitopoetici della Rivoluzione, a Maria e Cristo personaggi mitopoetici della Redenzione, De Stefano non sottolinea ancora le parole gioia o grazia. Nel «Ciclo del Profeta» lo Scandalo dell’identità non è lo Scandalo della Verità, la Protesta non è Preghiera.

Amore e Morte, Bene e Male conducono ancora, nei poemi visivi di De Stefano, un’irrisolta battaglia. Nei suoi quadri i fiori diventano spine, i broccati si trasformano in piaghe: e non viceversa. Le sue non sono sacre rappresentazioni, sono chansons des gestes, fastose ballate trobadoriche profane.

Raffaele Corvi
(dal volume “Il Profeta”, Edizioni Trentadue).

 

 

 

 

Armando De Stefano, cenni biografici

Autentica personalità dell’arte napoletana, Armando De Stefano, nato a Napoli nel 1926, è attore di primo piano in tutti gli avvenimenti artistici della città dal 1947 quando da vita al “Gruppo Sud” insieme a Raffaele Lippi (1911-1982), Renato De Fusco (1929), Vincenzo Montefusco (1926-1975), Guido Tatafiore (1919-1981), Raffaello Causa (1923-1984) e Renato Barisani (1918-2011).

Il “Gruppo Sud” che Ferdinando Bologna giudica “la vera spina dorsale del rinnovamento dell’arte napoletana e la matrice di tutti i più importanti movimenti che seguirono”, comunque non ha lunga vita a causa delle diverse poetiche che gravitano al suo interno: dalle ricerche dei neorealisti, agli astratti geometrici.

Le opere di Armando De Stefano presentano una verità poetica capace di aprirsi all’invenzione, alla fantasia, al sogno, e soprattutto a quella trama di immagini e di richiami culturali che sono il tessuto di ogni opera d’arte.

Il realismo è il suo credo pittorico e niente gli è più congeniale della sua ricerca sul concreto, sul dato di fatto, sia esso quotidiano o storico. Ma la sua opera stenta a collocarsi all’interno della corrente realista, priva com’è di quelle caratteristiche di scuola (il gusto per la denuncia, la tendenza per il manifesto, una certa dose di populismo), che sono distintivi di quella stagione. Armando De Stefano ha sempre lasciato spazio alla sua ricerca formale e alla cura di quei valori figurativi, che per lui sono la base della buona pittura.

Gli anni dal 1956 al 1961 lo vedono impegnato in un’area che per molti aspetti si richiama a quella dell’Espressionismo materico e astratto. In apparenza un vero cambio di rotta senza rinunciare, però, mai all’immagine. Essa non scompare, ma si fa materia, segno, affiora dalle sovrapposizione dei colori o ne resta sommersa, ma in ogni caso è presente.

Dal 1962 Armando De Stefano riscopre il piacere del ritorno alla pittura d’immagini, con quanto di popolare e narrativo essa è capace di esprimere. Siamo alla nascita dei grandi cicli, che dall’Inquisizione a Masaniello alla Rivoluzione napoletana del ’99, hanno impegnato non solo dagli anni Settanta di attività dell’artista, ma i fatti più drammatici e anticipatori della nostra storia: Marat; Masaniello; Odette e il Jolly; Mercato dei miti; Il profeta; Le maschere; Immagini da una rivoluzione, Napoli, 1799; Federico II; L’Eden degli esclusi; Dafne; L’urlo del Sud; Chameleons.

 

 

 

 

 

 

MARCIANO ARTE, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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