Autore:CANGIULLO FRANCESCO
N. - M. :Napoli, 1884 - Livorno, 1977
Tecnica:Olio su tavola
Misure:26 x 16 cm
Anno:VENDUTO
Classificazione:
I futuristi a Napoli fecero un solo adepto: il poeta e pittore Francesco Cangiullo, definito da Marinetti «ingegno grandissimo e uno dei piú forti futuristi … il solo ingegno innovatore di Napoli». Francesco Cangiullo era figlio di quel Gennaro Cangiullo titolare della «Fabbrica di mobili artistici» che aveva bottega al rione Sirignano. Francesco prese anch’egli gli attrezzi del mestiere, in un ambiente che, oltre che laboratorio, era soprattutto scuola d’intaglio, e perciò era frequentato dai maggiori artisti quali Caprile, Scoppetta, Migliaro, Esposito, Casciaro, e dai poeti Di Giacomo, Ferdinando Russo, e da giornalisti, con a capo Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio. […]
Francesco Cangiullo, quando aderì al movimento futurista nel 1912, aveva già dimestichezza col mondo della poesia. Ma dal momento della sua adesione al futurismo, gli avvenimenti divennero per lui sempre piú emozionanti. Egli si trovava nel vivo di un’azione che aveva tutta la parvenza rivoluzionaria, in compagnia di amici e compagni di grande valore e di grande fascino intellettuale, tra i quali egli si trovava a suo agio, partecipando attivamente alle azioni provocatorie del gruppo. Come poeta egli era il piú autenticamente futurista, quello che aveva dato alla poesia l’impulso formale e contenutistico più vero e popolaresco, col poema “Piedigrotta” che fu pubblicato dalle Edizioni Futuriste di poesia, nel 1916, e prima ancora, quando il poema era inedito, declamato da Marinetti e dallo stesso Cangiullo in una galleria d’arte in via Dei Mille, nel maggio del 1914. Quelle parole in libertà suscitarono una violenta polemica sulla stampa napoletana che attraverso un articolo di Paolo Scarfoglio negò al poeta ogni vera invenzione, contrapponendo alla Piedigrotta cangiullesca l’omonimo componimento teatrale di Raffaele Viviani. L’attacco di Scarfoglio dava il senso della sospettosa attenzione verso tutto ciò che a Napoli aveva sapore di novità. In realtà la matrice ispirativa di Cangiullo era del tutto simile a quella di Viviani, e lo scontro-incontro ebbe il merito di aver sottolineato da un lato l’inventività creativa del grande attore che a quel tempo «militava» nel Cafe-Chantant, e dall’altro lato l’intuizione di un poeta che vedeva, attraverso l’opera vivianesca, il modo per realizzare una poesia che fosse ad un tempo stilisticamente avanguardistica e popolare. Sono proprio questi due aspetti a rendere la poesia di Cangiullo specie nell’ambiente culturale napoletano, poco accettabile, poiché essa si realizzava al di fuori dei noti schemi letterari e dunque in un contesto di inventività «illegale».
Nel 1918, le Edizioni Futuriste di poesia pubblicarono «Caffè Concerto», che è l’opera di gran lunga piú originale di tutta la letteratura futurista. «Caffè Concerto» si potrebbe definire un poema «visivo», ma era molto di piú: esprimeva la volontà di rendere, attraverso i segni e le lettere tipografiche, non solo dei concetti poetici, ma le immagini plastiche che costituivano la fonte dell’ispirazione del poeta. «Caffè Concerto», dunque, piú che l’opera di un poeta-pittore, è l’opera di un pittore-poeta, poiché in essa predomina il segno grafico, come il disegno di un artista che voglia dare il senso della rappresentazione di un fatto teatrale. Le tavole che compongono il fascicolo «Caffè Concerto» costituiscono ancora oggi, per la loro originalità, un apporto essenziale al disegno e alla pittura moderna.
Senza alcun dubbio l’opera piú geniale e anticipatrice di Cangiullo fu «Alfabeto a sorpresa», concepita ed eseguita nel 1912, prima della sua adesione al movimento futurista. […] È evidente l’influenza che «Alfabeto a sorpresa» ha esercitato quarant’anni dopo sulla produzione neo-dada, specie sugli artisti nordamericani, in modo particolare su Calder, considerando le sue sculture filiformi ed i suoi ‘mobiles’ degli anni ‘50. Nell’attività futurista di Cangiullo si inseriscono inoltre «Il giardino zoologico», un poema definito «umorismo coreografico», con la musica di Maurice Ravel, rappresentato da Diaghilev nei balletti russi; «Il debutto del sole», liriche con un giudizio di Marinetti, pubblicato a Napoli da L’Editrice Italiana; «Poesia pentagrammata», un testo che anticipa di molti decenni la produzione delle avanguardie attuali. Infine é da ricordare «Il sifone d’oro», pubblicato nel 1924, ma composto da Cangiullo molti anni prima.
L’attenzione di Francesco Cangiullo alla vita artistica napoletana era costante. Nella sua qualità di direttore aggiunto della rivista «Vela latina», nel corso di un «pomeriggio futurista» svoltosi in una sala dell’Istituto di Belle Arti, a Napoli, il 16 gennaio 1916, egli convinse i suoi amici Marinetti, Boccioni, Iannelli a visitare la «I Esposizione Nazionale d’Arte». Nel corso della manifestazione, dopo il discorso di Umberto Boccioni e un breve intervento di Marinetti, prese la parola Cangiullo, il cui intervento fu riportato da «Vela latina» nei seguenti termini: «Noi napoletani intendiamo perfettamente lo stato d’animo declamatorio che il nostro giovanissimo artista, dalla ipersensibilità assolutamente novatrice, conserva ormai da un paio d’anni di fronte al pubblico del suo paese. Egli si presenta con l’aria di chi se ne infischia e non dà nessuna importanza, di chi non é stato, né sarà mai, capito da questo pubblico, di chi disprezza l’ascoltatore da cui non v’è niente da sperare, e a cui bisogna leggere proprio così la personalissima poesia – che occorre pur leggere! – Perciò legge senza effetti e molte volte sfumando. Raramente ha qualche ironico gesto illustrativo. Però questa volta Cangiullo ebbe un po’ torto; poiché il pubblico non è dei soliti, e v’erano moltissimi artisti (quali Curcio, Uccella, Gatto e Viti) venuti sinceramente ad ammirarlo, tanto vero che lo applaudirono calorosamente». […]
Nella sua poesia e nel suo teatro egli addirittura anticipa l’arte «del comportamento» e nella grafica è certamente all’altezza dei piú spericolati sperimentatori europei.
In Italia, nel movimento futurista, dopo la morte prematura di Umberto Boccioni, avvenuta come è noto nel 1916, e dopo il lento disperdersi dell’entusiasmo dei primi futuristi, un contributo di invenzioni e di trovate spettacolari si verificò ad opera quasi esclusivamente di Francesco Cangiullo, il quale, dal 1918 in poi, fino al momento del suo distacco dal movimento, nel 1924, fu considerato, e in effetti lo era, il «sale» del futurismo, per la sua frenetica attività, oltre che nel campo della poesia, in quello della pittura e soprattutto del teatro. Sviluppando le premesse contenute nelle sue precedenti opere, come «Alfabeto a sorpresa», «Lettere umanizzate» e «Poesia pentagrammata», sorse nel poeta Cangiullo l’intuizione di un teatro della sorpresa, una concezione diversa dal teatro sintetico precedentemente teorizzato dai futuristi, che Cangiullo e Marinetti, dopo una lunga discussione che si svolse in piú riprese tra Capri e Napoli, concretizzarono in un manifesto, redatto e firmato in Napoli all’Hotel de Londres, il 9 ottobre del 1921. Nel manifesto, intitolato “Il Teatro della Sorpresa”, che recava come sottotitoli: «Teatro Sintetico – Fisicofollia – Parole in libertà sceneggiate – Declamazione dinamica e sinottica – Teatro-giornale – Teatro-galleria di quadri – Discussioni improvvisate di strumenti improvvisati, ….», si affermava tra l’altro: «Nel Teatro della Sorpresa, la pietra della trovata che l’autore lancia dev’essere tale da: -1) Colpire di sorpresa gioconda la sensibilità del pubblico, in pieno, -2) Suggerire una continuità di altre idee comicissime a guisa di acqua schizzata lontana, di cerchi concentrici di acqua o di echi ripercorsi, -3) Provocare nel pubblico parole ed atti assolutamente impreveduti, perché ogni sorpresa partorisca nuove sorprese in platea, nei palchi e nella città, la sera stessa, il giorno dopo, all’infinito».
Il Teatro della Sorpresa debuttò in varie città italiane, ed i pubblici di Napoli, Palermo, Firenze, Genova, Torino, Milano, ecc. espressero consenso entusiastico e rigetto sdegnoso, come era nella consuetudine «storica» di ogni esibizione spettacolare del Movimento futurista. Il Teatro della Sorpresa, come era stabilito nel Manifesto programmatico, era promotore, nelle varie città, anche di mostre di pittura e di scultura.
Tra le sue opere piú singolari resta la commedia «Radioscopia», un «contrasto simultaneo in un atto», che fu rappresentata da Ettore Petrolini, e fu uno dei successi piú clamorosi del grandissimo attore e commediografo romano. […]
Francesco Cangiullo, nonostante la celebrità e il successo raggiunto attraverso la milizia futurista e il contributo creativo al movimento, a Napoli non creò intorno a sé un’atmosfera di consenso e quindi di attenzione alla sua opera di scrittore e di poeta. Ma ancora piú avvilente, fu il fatto che le iniziative culturali da lui promosse cadessero nell’indifferenza dello stesso movimento futurista. Il ritorno all’ordine di Cangiullo fu l’espressione dolorosamente sofferta di un uomo che aveva aderito al movimento con entusiasmo, senza però sposarne l’ideologia. L’adesione di Cangiullo era determinata dagli aspetti ludici del movimento stesso, quindi dalla possibilità che offriva il futurismo agli exploits improvvisi della fantasia e dell’invenzione del poeta, dello scrittore, del pittore, ed era caratterizzata dalla estraneità ad ogni vincolo o regola accademica imposta da una qualsiasi «scuola». Cangiullo era, si, un poeta-pittore futurista, ma aveva contemporaneamente il gusto e la facoltà di muovere verso altre estetiche, magari contrastanti tra loro. Era, insomma, un irregolare, come la maggior parte degli artisti più geniali nati e vissuti a Napoli. Egli non condivideva, in fondo, l’ideologia del futurismo, che era, poi, quella stessa del fascismo. Cangiullo, da uomo ideologicamente ingenuo, sentiva istintivamente l’estraneità ad una prassi e ad un costume che si esprimevano nella storia degli anni dal 1924 in poi.
Improvvisamente, nel settembre del 1924, sul quotidiano «Il Mattino» di Napoli, apparve questa lettera: «Illustre direttore, la prego di pubblicare questa lettera con la quale io esco dal Movimento futurista. Le ragioni sono diverse; io le dirò a chi vorrà saperle, e anche in qualche eventuale intervista. Non avrei nemmeno fatto questa dichiarazione, ma tengo che la mia uscita sia ufficiale, per non crearmi la posizione ambigua dei miei amici Buzzi, Govoni, Folgore, Pratella; e per far sì – voglio sperare – che Marinetti non stampi piú il mio nome sotto manifesti collettivi che non ho mai voluto firmare, ad esempio quello, non so, dei diritti artistici – che sembra scritto come da un millepiedi forse perché molti ci avevano messo … le mani – indirizzato all’on. Mussolini. Ma tengo ad assodare che al Futurismo ho dato e dal Futurismo nulla presi o appresi. Né ora gli reclamo l’Alfabeto a Sorpresa, la Poesia pentagrammata, e quasi tutto il Teatro della Sorpresa: continui il Futurismo ad aver queste mie cose, continuino i miei giovanissimi a servirsene e a cibarsene, tanto, io le rifiuto. Però nel prendere commiato porterò con me al di là della soglia di questo movimento in posizione ausiliaria, una profonda tristezza: Marinetti, sposato e innamorato, non piú giovane, che lascia Milano e si riduce a Capri ove è ucciso dal chiaro di luna!… Grazie dell’ospitalità, signor direttore, suo devotissimo Francesco Cangiullo».
Un altro torto «obbiettivo» di Marinetti e dei suoi amici, fu l’assoluto disinteresse per le opere di Cangiullo che non si inserivano nel «futurismo», come era da essi inteso, vale a dire estranee alle immagini e alle forme ormai consacrate dalla nuova estetica.
Cangiullo, a Napoli, nella sua attività pittorica, si trovò a seguire Luigi Crisconio. Insieme, soprattutto durante le ore notturne, andavano alla ricerca dei motivi che dessero il senso della grande città; pertanto nei loro giri essi avevano dei punti fissi: caffè e bordelli dove cercavano di cogliere una particolare atmosfera umana e dolorosa; ed è abbastanza singolare il fatto che una medesima attenzione agli ambienti notturni è presente nel teatro di Viviani. […]
L’attività pittorica di Cangiullo, a parte qualche quadro futurista dipinto prima del 1916, fu improntata ad una specie di realismo critico che, sull’avvio di Crisconio, si espresse nella sua opera di documentatore attento della trasformazione della città, presa d’assalto dalla mania distruttiva del fascismo, rivolto, ad esempio al «risanamento» del rione Carità. Cangiullo dipinse affettuosamente e dolorosamente le fasi della distruzione delle strade, delle piazze, delle case, che tanta parte avevano avuto nella sua vita. Negli ultimi anni la pittura di Cangiullo si concretizzò in certe rapide impressioni ispirate al Boldini parigino, con in più, e diversa, una specie di fissità spietata ed ironica nel descrivere tipi di situazioni intraviste attraverso la memoria. Nel dicembre del 1956 Cangiullo organizzò, nella galleria napoletana «Blu di Prussia», una mostra molto originale. Egli espose tavolette e libri in una bancarella, mescolando pitture e volumi alla rinfusa, dove, accanto a vecchie edizioni della sua opera letteraria, vi erano gli opuscoli e i volumi usciti di recente. La mostra era intitolata «Addio mia bella Napoli», come un suo volume edito da Vallecchi; così, nel corso dell’esposizione, i frequentatori della galleria potevano pescare le opere di Cangiullo stampate nel giro di oltre 40 anni, insieme a cumuli di pitture, messe alla rinfusa, come una «merce». Con questa mostra Cangiullo compì un gesto dadaista, che fu l’ultimo exploit della sua vita di «irregolare». Negli ultimi anni Cangiullo si trasferì a Livorno, continuando a dipingere motivi della Napoli del ricordo. […]
Ora nel processo di rivalutazione del futurismo, sia nel bene che nel male che esso significò nella storia della cultura italiana, finalmente ci si accorge dell’opera e della funzione anticipatrice e creatrice di Francesco Cangiullo. Come spesso accade troppo tardi!
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