Autore:DI MARINO FRANCESCO
N. - M. :Napoli, 1892 - 1954
Tecnica:Olio su tela
Misure:50 x 70 cm
Classificazione: Paesaggi, Figurativi, Oli, Classici, Antichi, Marine
Francesco Di Marino, allievo di Cammarano e poi di Dalbono, seguì fedelmente la tradizione del buon dipingere all’aria aperta, nella scia della concezione paesistica instaurata a Napoli dalla Scuola di Posillipo. E così operando venne ad affiancarsi, oltre che ai suoi diretti maestri, a Casciaro, a Pratella, a Scoppetta, e poi a Galante, a De Corsi, a Villani, a Viti, affinando gradualmente i propri mezzi espressivi e giungendo a caratterizzare il suo lavoro per l’immediatezza della percezione, la genuinità del sentimento, la sicurezza esecutiva.
Francesco Di Marino riusciva a trasferire sulla tela gli aspetti fugaci della natura e del paesaggio con una freschezza di sensazione e con un tocco morbido eppur corposo, che non fu di molti pittori.
Artista sensibile ed istintivo, al sopraggiungere delle nuove correnti non mancò di avvertire che anche a lui si presentava un problema di scelte: ed anch’egli, come molti, giunse al punto critico in cui la fedeltà verso il passato fu combattuta dal desiderio, o dalla curiosità, di spingersi verso l’avvenire: ma in lui la tendenza innovatrice non prevalse, presumibilmente a causa di situazioni contingenti (che inducevano a non abbandonare la sicurezza di quanto già raggiunto) e certo anche per un’istintiva avversione ai mutamenti, nella consapevolezza dei limiti delle proprie possibilità creative (egli stesso del resto, amava definirsi un «modesto pittore peripatetico»: nel che è la misura dell’uomo, alieno da qualunque iattanza, garbato, in possesso di buone qualità pittoriche ma tendenzialmente autocritico).
Egli aveva ormai impresso nella memoria le strade della città e della periferia per averle ripetutamente dipinte traendone impressioni come Domenica in villa, La Floridiana, Trattoria paesana. Viottolo di campagna, Eligio, Effetto di pioggia, Vecchia Napoli e tante altre, che pur sembrano offrire di volta in volta qualcosa di nuovo, di fresco, di immediato nella varietà delle scenette popolari, dei mercatini, delle giostre, dei burattinai, dei gruppi di balie e bambini nei giardini pubblici, dei suonatori ambulanti, tutti immancabilmente inquadrati in suggestivi scorci paesaggistici.
Ma di un altro ambiente Francesco Di Marino seppe farsi magistrale interprete in un ciclo di pregevoli “tavolette”: quel Gambrinus che per decenni fu l’emblema della città, quando nelle splendide sale dai divani rossi e adorne di pannelli che recavano le firme più famose della pittura napoletana accoglieva artisti, poeti, musicisti, giornalisti, avvocati, spadaccini e parlamentari, nobili e mondane, mentre ferveva il pettegolezzo e l’orchestrina delle dame viennesi coi suoi valzer stimolava il brio e la malinconia.
Dal suo abituale cantuccio Francesco Di Marino osservava le fisionomie, i movimenti, i colori, la «macchia» che vibrava nelle luci riflesse degli specchi e annotava con tratti rapidi e precisi. Ricordava che anche Mancini aveva ritratto l’interno del caffè Vacca; e anche Scoppetta, a Parigi, era un assiduo frequentatore dei caffè dei boulevard. Parigi: per trenta anni Di Marino Francesco aveva sognato di andarci, senza mai potere appagare il suo desiderio. Alla fine vi aveva rinunciato, memore di Ragione, che «al suo ritorno da quella città, dopo venti anni, aveva la faccia della disperazione».