Autore:LIPPI RAFFAELE
N. - M. :Napoli, 1911 - 1982
Tecnica:Tecnica mista su carta
Misure:69 x 49 cm
Anno:1972
Classificazione: Figure, Moderni, Altre Tecniche, Figurativi, Astratti
«Chi cerchi una conferma dell’importanza veramente eccezionale della serie degli « Animali » dipinti da Raffaele Lippi nei primi anni ’60 e della centralità che agli occhi dello stesso artista avrebbe assunto, negli anni successivi, quell’esperienza così densa di urgenze espressive da mettere radicalmente in crisi i precedenti assetti formali e dar corso a una pittura di immediata e quasi furiosa gestualità, sotto la cui spinta, però, prendeva quota un’ispirazione grandiosamente visionaria, ricondotta dall’espressionismo lacerato di De Kooning alla sua più autentica matrice storica, quella, s’intende, del Goya della Quinta del sordo; chi voglia, dunque, comprendere la persistenza, nella coscienza di Lippi, innanzitutto, di quel momento di incandescente temperie espressiva, dove tuttavia circolavano anche umori più sottili e, tra pietà e disperazione, dagli occhi di quegli animali stravolti e mostruosi balenava il segno di un disagio esistenziale, non dovrà che guardare […] questi disegni».
«La novità di questa mostra è appunto in una sala, con molti inediti degli anni tra il ’60 e il ’64; le ossessioni del gruppo Cobra, dell’espressionismo astratto olandese lo riportarono ad uno studio prelinguistico e brutale: stupendo è l’Animale rosso del ’60, e tutta la serie di mostri, animali e figure che sono i temi della sua produzione di allora»
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[…] Il processo di rinnovamento innescato nella pittura di Lippi dalla crisi del movimento neorealistico non s’incanalò in un’unica direzione, ma spinse l’artista a compiere una molteplicità di sondaggi, con qualche momentaneo effetto di disorientamento, ma anche con risultati che da lì a qualche anno mostreranno tutta la loro importanza. Ci sono opere realizzate da Lippi dopo il 1955 — l’anno dei Tronchi — che ce lo mostrano impegnato nel tentativo di ridare vitalità ad una figurazione condotta in modi di rinnovato espressionismo, rialzando il colore fino ad effetti di fiammeggiante intensità timbrica, ma tali da non sconvolgere la normalità dell’assetto compositivo del quadro […].
Il riferimento principale è a una piccola tela del 1959 intitolata Animali in cui l’artista rade al suolo ogni elemento prospettico e rinuncia ad ogni altro genere di preordinata indicazione spaziale, per inseguire la forma con un segno nervoso, per costringerla a snodarsi e a guizzare entro una pasta pittorica di denso ma fluido impasto. La divaricazione aperta da questo dipinto è enorme […].
Alla tela del 1959 s’imparenta strettamente un foltissimo gruppo di disegni e tecniche miste su carta dello stesso anno, conservati nella collezione Lanni, che hanno il duplice merito di toccare spesso livelli altissimi di qualità e di mostrare con tutta evidenza la filigrana che attraversa questo momento della pittura di Lippi: una filigrana che stringe insieme, in chiave di visionarietà metamorfica, la linea dell’espressionismo, così connaturata all’arte di Lippi, con quella del surrealismo. Una congiunzione, questa, che aveva del resto più di un precedente nell’area ampia e sfumata dell’informale. I fogli della collezione Lanni — si tratta di una cinquantina circa di esemplari, quasi tutti firmati e datati —meriterebbero una considerazione più attenta e dettagliata di quanto non si possa fare qui. Diversi per formato e per tecnica d’esecuzione, essi offrono lo spettacolo mobilissimo — tra incubo e divertimento — di piccoli esseri mostruosi e del loro continuo trasformarsi, sconfinando talvolta dal regno animale in quello vegetale. La stretta continuità tematica — così netta da far supporre che alla base ci possano essere pulsioni psichiche profonde — non impedisce all’artista di muoversi su un’ampia gamma di tonalità espressive e stilistiche e di intrecciare il sentimento angoscioso del mostruoso con il piacere dell’invenzione grafica, estraendo percorsi lineari, ariosi e vibranti dai più intricati e ombrosi grovigli. Può persino accadere che tra ricercate ed estrose soluzioni stilistiche s’insinuino momenti di scrittura spontanea prossima all’automatismo psichico. La parte principale di questo bestiario fantastico, col quale Lippi s’addentra nelle regioni dell’arte visionaria come mai aveva fatto fino ad allora, si colloca tra il 1959 e il 1963, ma un buon numero di fogli supera il decennio sessanta e si spinge fino al 1973. In realtà, all’origine della congiunzione di espressionismo e surrealismo felicemente tentata da Lippi con il ciclo degli Animali c’è Picasso. L’ipotesi, oltre che emergere dalla lettura diretta dei lavori del ciclo, trova appoggio in tre tele che — opportunamente isolate dalle altre orientate in direzioni diverse di ricerca — risultano in filo diretto con i pastelli dei Tronchi, da una parte, e con la serie appunto degli Animali, dall’altra. L’Omaggio a Picasso del 1956, che è già di per sé, fin nel titolo, un’indiscutibile dichiarazione d’intenti, il Paesaggio, dello stesso anno, e l’ispida, aggrovigliata Zuffa dei gatti, del 1957, dimostrano come Lippi avesse saputo riaccostare il grande maestro spagnolo con un profitto ben più incisivo di quello che ne aveva ricavato negli anni tra il 1948 e il 1951 attraverso il filtro della vulgata guttusiana. A Picasso ora egli sembra chiedere soprattutto l’autorizzazione all’uso di una franca veemenza espressiva, di una gestualità che gli consenta di reinventare il rapporto tra lo spazio e la figura, procedendo dall’interno di questa in un modo che prepara gli esiti visionari degli Animali, fino al loro punto più alto, toccato con i dipinti del 1960-’61 […].
Queste considerazioni traggono dall’isolamento la serie delle tele degli Animali, che l’artista in vita non volle mai esporre a Napoli e che era rimasta sostanzialmente inedita fino alla mostra di Villa Pignatelli del 1984. Dalla consultazione dei cataloghi risulta, tuttavia, che Lippi tentò qualche timida sortita fuori delle mura cittadine almeno in due occasioni: nel 1959, infatti, partecipò alla mostra del Premio Genazzano con tre disegni di “animali preistorici” e l’anno successivo nella VIII Mostra nazionale di Arti figurative Città di Spoleto espose quattro dipinti di medio formato degli Animali. Si deve infine segnalare che nel numero maggio-giugno 1965 di «Marcatre» è riprodotto un piccolo disegno degli Animali. Sulle ragioni che possono avere indotto Lippi a un comportamento così “prudente” nei confronti di questo momento della sua ricerca, che solo dopo la sua morte è stato possibile recuperare con una certa ampiezza, hanno certamente influito fattori di ordine ambientale, derivanti da un contesto culturale nel complesso arretrato e più specificamente dal rapporto con un collezionismo locale ancora troppo legato alla tradizione ottocentesca; e non è azzardato supporre che proprio da questi ambienti possano esser venuti all’artista segnali concreti di scarso interesse per questa parte della sua produzione pittorica. Il dato di fatto indiscutibile è che fino all’antologica del 1984 nessuno degli Animali era mai entrato nelle case dei collezionisti napoletani. La grande impressione suscitata dai dipinti degli Animali esposti nell’antologica del 1984, confermata poi, a distanza di sette anni, in occasione della rassegna Fuori dall’ombra in Castel Sant’Elmo, è valsa certamente a ravvivare l’interesse verso la pittura di Lippi e a favorire la musealizzazione di uno dei più significativi esemplari della serie, ma non pare aver prodotto gran che sul piano dello studio e della conoscenza dei percorsi culturali dell’artista, che dalla seconda metà degli anni cinquanta a tutto il decennio successivo furono, come già in parte s’è detto, tutt’altro che rettilinei […].
«Nella splendida e poco nota serie degli Animali» Lippi fa «esplodere la sua autentica vena espressionistica in una dimensione di violenta libertà e di impeto visionario; certo anche per l’impatto dell’action painting americana, ma con una tale stravolta furia immaginativa da potersi dire che quei suoi mostruosi animali fossero stati generati dall’accoppiamento del Saturno di Goya con una delle donne più straziate di De Kooning»
Sostanzialmente autodidatta ed estraneo all’ambiente artistico napoletano, Lippi esordisce nel ’31 con la partecipazione a una mostra dei GUF al Maschio Angioino.
Il ritrovamento alcuni anni fa di una ventina di olii dipinti tra il ’25 e il ’44 ha consentito di correggere l’ipotesi secondo cui il giovane artista si sarebbe formato al seguito della pittura “sobborghista” di Crisconio (P. Ricci, 1984).
I dipinti recuperati documentano invece una prevalente attenzione verso certi aspetti del Novecento italiano e segnatamente verso l’ultima stagione metafisica di Morandi, Sironi e Carrà (M. Corbi, 2004).
L’artista frequentava le lezioni serali della Libera Scuola di Nudo, nell’Accademia di Belle Arti, quando, nel ’42, dovette partire per il fronte russo. Con la disfatta dell’esercito italiano, riuscì a rientrare in Italia e a raggiungere Napoli. Tra il ’45 e il ’48 frequentò la cerchia dei giovani che si riunivano intorno a Pasquale Prunas e alla rivista “Sud”. Nella collettiva del Gruppo Sud del giugno del ’48, Lippi espose il “Ritratto di Anna Maria Ortese col gatto” e alcune delle “Macerie“, dove, attraverso una pittura stravolta e concitata, appariva una Napoli dolorosamente sfigurata dalla guerra. Nei primi anni’50 Lippi avvertì tutta l’urgenza dell’impegno politico, con risultati complessivamente modesti, ma apprezzabili per l’autenticità della testimonianza civile di opere come “Le quattro giornate di Napoli“. Nel decennio successivo, crollate le dogmatiche certezze del programma neorealistico, la pittura di Lippi si presenta completamente rinnovata. La violenza gestuale e cromatica agita e deforma la compagine plastica, dando vita ad immagini di potente visionarietà. “Animale rosso” e “Animale rosso e giallo“, del ’60, rappresentano il momento più alto di questo processo, che salda con esiti di grande originalità la linea dell’action painting statunitense con quella del neoespressionismo europeo. Negli anni Settanta la città ritorna sulla scena con i segni di una quotidianità cupamente drammatica. Nelle opere degli ultimi anni le ombre si diradano e la luce, sullo sfondo di giardini e campagne o in interni appena accennati, scioglie la dura compattezza dei corpi. Poi, due quadri realizzati poco prima della morte, “Donna con cappello” e “Divano rosso“, aprono inaspettatamente su una nuova tonalità espressiva, mentre il colore si rianima di improvvise accensioni timbriche. Proprio in quei giorni, su una parete del suo studio, Lippi aveva scritto: “Fantasia del colore”.
«Al principio degli anni sessanta Raffaele Lippi trovò liberazione nel gesto e nella materia dell’action painting dipingendo furiosamente animali che hanno occhi che guardano dagli splendidi e sanguigni colori che mi ricordano i suoi occhi rapaci ma dolcissimi quando lo conobbi ai primi anni sessanta»