Autore:BUONOCONTO MARIO
N. - M. :Napoli, 1940 - 2003
Tecnica:Olio su tela
Misure:120 x 100 cm
Anno:1984
Classificazione: Figure, Moderni, Figurativi, Oli
L’opera “In visita da Sansevero” di Mario Buonoconto è stata scelta come copertina della rivista “Miscellanea” del 1988. Inoltre è pubblicata a colori a piena pagina 109 del libro “Città e Civiltà” di Angelo Calabrese e Antonio M. Perrot, edito da Lion’s Club Ercolano nel 1984, di cui segue un passaggio dedicato al dipinto:
[…] «In visita da Sansevero» reinventa un personaggio d’epoca e suggerisce una riflessione sul presente. Relegato alla preziosità di un lontano apparato, il segreto del principe resta con le sue spoglie. Un manichino regge e custodisce abiti e memorie. La storia si riduce a quelle testimonianze. Buonoconto in tricorno ed abiti aristocratici visita il Principe, si tuffa con la fantasia nel passato, recita e finge, sente e contempla, poi, dall’immedesimazione passa alla realtà. Torna figlio del suo tempo ed il secondo autoritratto lo restituisce all’oggi, dove altre alchimie e tragici turbamenti si inseriscono in apparati altrettanto scenici e tanto meno rispettosi della vita che governano. […]
Mario Buonoconto è nato a Napoli il 3 luglio 1940. Figlio e nipote di pittori ha frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Napoli partecipando da giovanissimo alla vita artistica e culturale della sua città con articoli, conferenze e corsi di Storia dell’Arte riguardanti in particolare il periodo Greco-Romano in Campania. Si è occupato attivamente anche di Teatro in qualità di scenografo e costumista dal 1962, collaborando prima con il «Centro studi Teatrali E. Zacconi» diretto da Armando Adalgiso, e poi con il «Centro Teatro Dialogo» diretto da Lucio Beffi. Nel 1977 progetta ed esegue la Sala-Teatro per il «Teatro dei Rinnovati» di via Benedetto Cozzolino ad Ercolano curando, anche le scene ed i costumi dei due primi lavori. Nel settembre 1978 collabora con Giovanni Girosi all’allestimento della «Festa di Piedigrotta» di Raffaele Viviani per la regia di Roberto de Simone. Del gennaio 1971 fonda con Oscar Pelosi, Vincenzo Cerino e Salvatore Vitagliano il «Gruppo Enne 4» che si appoggia alla Galleria «La Tavolozza» che dirige con Pelosi. Nel febbraio 1977 cura il «manifesto» e dà vita al gruppo «Figurativa 5», di cui fanno parte Vincenzo Cerino, Mario D’Albenzio, Vastare e Roberto Viviani. Dal 1964 ha tenuto ininterrottamente «Personali» nelle maggiori città italiane ed all’estero tra le quali Cadiz, Pittsburgh e Lugano. Nel 1988 la rivista d’Arte “Miscellanea” gli ha dedicato un intero numero. Nel 1996 cura “l’ambientazione scenografica” (elementi pittorici in diaproiezione) di tre spettacoli di Ruggiero Cappuccio: “Desideri Mortali”, al Teatro Valle di Roma, “Nel tempo di un tango” per “Benevento, Città Spettacolo” e “Re Lear” al Teatro Verdi di Salerno. Degna di nota anche la sua attività di restauratore (Arciconfraternita della «SS. Trinità» di Ercolano e la Chiesa del Carmine di Gragnano). Nel 1991 esegue il “Battesimo del Cristo” per il Fonte Battesimale della Chiesa Parrocchiale di Cascano di Sessa Aurunca e ne cura il restauro delle tele e degli affreschi. Nel 1992 restaura la tela della “Madonna del Rosario” nella Cappella di S. Felice di Sessa Aurunca e nel 1996 cura il restauro degli affreschi e della Pala Lignea della Cappella della Confessione della Chiesa dell’ex-Convento di S. Francesco Di Paola di Cimitile. Mario Buonoconto muore il 13 dicembre 2003. Dall’anno successivo Ischia lo ricorda con un premio per artisti che porta il suo nome.
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“….Un uomo di ricca e dinamica vita anche interiore, Buonoconto è sempre disposto a mettere il dito su qualsiasi forma di fanatismo, soprattutto religioso e politico. Lo dimostrano i suoi quadri così prodighi di riferimenti reali, con la sconcertante rappresentazione di elementi sacri, di amuleti che convivono con oggetti della società dei consumi che acquistano un efficace ruolo dissacratorio ed ironico. Il quadro viene visto quasi come spettacolo totale di vita, quella che si può cogliere, del resto, nel folcloristico mondo napoletano. La forma prediletta è quella di una particolare oggettivazione del sentire dell’autore del sentimento serio della realtà, ma Buonoconto sfrutta la possibilità di dissociazione compositiva per pervenire ad una fantastica impaginazione anche quando il quadro sembra essere strutturato in senso geometrico. La sua è una lotta innovatrice non solo nella cultura, ma anche nello stile. Subito dopo gli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, Mario Buonoconto ha guardato alla Pop-art, ha sperimentato l’informale che egli ritrova nella creatività del gesto artistico, in un impulso primario profondo anche ora che ha sposato la figurazione del buon senso e della logica”.
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La formalità religiosa, dove, cioè, il potere spirituale si prostituisce col potere temporale, ha costituito un proscenio sulle tele del Buonoconto per il quale tonache e porpore sono sfilate nel parossismo stucchevole ma non astratto dell’equivoco: assieme all’insania del potere civile, dove l’abbrutimento raggiunge vertici da capogiro.
Rifuggo dalla ripetizione — repetitio semper iniqua — di sottolineature ormai fruste per evidenziare piuttosto come non abbia incontrato nella mia pur attenta e scrupolosa consultazione, che Mario Buonoconto, già nella sua primaria preparazione e studio della Storia dell’Arte contemporanea, abbia saputo cogliere la lezione del Mondrian della semplificazione dell’ossatura dell’immagine fino a raggiungere una articolazione spaziale, come essenza formale dal rigore allegoricamente astrattista. La superficie globale quadrata o rettangolare fratta in tanti quadrati o rettangoli, insomma, diventa una superficie zonata in modo che ciascuno spazio diventi spazio sociale e spazio neoplastico: ma per accogliere una figurazione allegorica e simbolistica come se, ricorrendo alle tecniche scenografiche, ciascuna articolazione spaziale zonale diventi luogo deputato alla narrazione barocca e ritorcendo la caratterialità «baroque» attraverso le figurazioni che, sul condotto cromatico vivo e vini-lento supportano significante e significato del polilinguismo tematico.
Altrove ho letto di qualche indicazione di espressionismo: a valutare le opere del Buonoconto, però, (ma debbo onestamente dichiarare di non avere conoscenza totale della sua numerosa produzione che non so quantificare) mi sembra che non valga la pena di soffermarmi su attribuzioni correntistiche almeno in questa sede, aperta ad ospitare più un pensiero indicativo della sua filosofia operativa che un indotto alle sue ascendenze didattico-magistrali. E tanto menziono ed affermo perché l’importanza del narrato travalica, a mio avviso, ogni altra considerazione tecnica: importante certamente quanto si voglia ma non in subordine all’insieme della contenutistica, che ad una indagine «desquarnatoria » — mi si passi il termine — offre la grammatica delle emozioni subite e patite dal Buonoconto e da lui verificate al museo della conoscenza prima che ordisse le figurazioni. Anzi mi par giusto teorizzare che nel Buonoconto l’arte debba essere figurativa veristica e non debba volgersi all’informale o al parainformale, rispondendo alla creazione come fantasia e alla fantasia come energia creativa in quanto traduttrice dell’astratto pensiero in pensiero descritto. Così si spiegano le articolazioni delle tappe del suo percorso artistico, dai personaggi regali in cui la satira prevarica lo psicologico, a quelli attori della pagina inquisitoria, in cui la caricatura prevarica la storia nel suo corso e nei suoi ricorsi; dalle coatte Velate, in cui il patetico sovrasta la laconicità, alle azzimate principesche del Sansevero, dove la voluttà ha il sapore della beffa e la sconsideratezza dell’ipocrisia; dal Jolly al Paggio alla Veggente; nelle nature morte, o, piuttosto, nel loro prorompere verità di natura con armonie tonali pressoché sinfoniche (senti la musica del Petrassi). A proposito di natura, una fondamentale lettura mi sembra richiedano le opere dell’ultimo biennio, potrei definirle tipicamente del periodo ponziano (isola di Ponza), dove ha più evidenti trasporti di richiamo dal Barocco, quel Barocco squisitamente napoletano, specie per la presenza a pieno campo di un amorino alato vindice, organizzate a mo’ di dittico dagli elementi sovrapposti, dove mi sembra il Buonoconto abbia trovato l’elemento didattico ed indicativo delle aspirazioni quando pone in ascetica evidenza i megaliti affioranti dalle acque del Tirreno e titanicamente proiettati verso l’indaco. Ma per lo più le divisioni degli spazi, come suddetto, tendono ad una contrazione che intendono assolutizzarne uno, centrale ed a mo’ di cartiglio, già precedentemente presente come idea ed organizzato in una linguistica diversa, ora facendosi assunto del divenire reale ed animistico astratto per concreto, come detta il bianco brillante, onde si significa, e, qua e là, qualche simbolo allegorico che vi è segnato.
Mi sembra superfluo dire che il simbolo del putto rifugga dall’essere messaggero d’amore nel senso antico e piuttosto potrebbe leggersi come un attributo di Erato, musa della poesia lirica: d’altronde è nella condizione deontologica dell’arte, che Mario Buonoconto fa sua, l’aspirazione alla migliore poièsis come costruzione del divenire del progresso umano sia attraverso la parola che attraverso l’immagine.
E l’Uomo contemporaneo, che, a proposito dell’arte nella sua polimorfia, ha saputo costruirsi un aspetto della propria cultura civile, che ha chiamato Civiltà dell’Immagine, esalta l’immagine al punto da coinvolgere nel suo divenire e caratterizzare aspetti che scientificamente aveva provato appartenere al mondo primitivo propriamente detto o al mondo antico e medio per estensione. Non escluso financo il mondo dell’infanzia e dei precordi della prima giovinezza: e mi riferisco specie al mondo onirico. E spiego così quello che ho sottolineato essere il comportamento « baroque » capriccioso e scanzonato di un popolo o dell’Uomo sociale contemporaneo, al quale eufemisticamente quanto liricamente Mario Buonoconto rende la pariglia a specchio del grande mattatoio, che è la commedia umana.