Mario Buonoconto, Vescovo barocco

Autore:BUONOCONTO MARIO

N. - M. :Napoli, 1940 - 2003

Tecnica:Olio su tela

Misure:100 x 70 cm

Anno:1970

Classificazione: Figure, Oli, Figurativi, Moderni

Note Critico - Biografiche

Mario Buonoconto

Napoli, 1940 – 2003

 

Vescovo barocco

Foto del dipinto di Mario Buonoconto (1940-2003), olio su tela 100x70 cm del 1970 intitolato Vescovo barocco. L'opera mostra e vuole denunciare l'opulenza del clero
Olio su tela 100×70 cm del 1970

 

Foto del dipinto di Mario Buonoconto (1940-2003), olio su tela 100x70 cm del 1970 intitolato Vescovo barocco. L'opera, completa di bella cornice, mostra e vuole denunciare l'opulenza del clero
L’opera incorniciata

 

Mario Buonoconto

In un raro e prezioso video, girato in occasione di una sua fortunata personale, “Taccuino esoterico e altre storie”, Mario Buonoconto pittore illustrava alcuni quadri esposti in mostra. Con quella verve che gli era così congeniale, e quasi a minimizzarne il significato, definiva “pretesti pittorici” alcuni simboli massonici presenti su una delle tele. Ma era un gioco da giullare iniziatico. I richiami alla tradizione ermetica, infatti, non sono mai stati semplici accessori nella vita di Buonoconto.
E non lo sono mai stati quegli elementi che hanno spinto alcuni critici d’arte a definire “barocca” molta della sua produzione. Che pure era barocca, certo, ma nella misura in cui già lo era la realtà che il maestro interpretava a modo suo. E così drappi, velluti, maschere, medaglie, se da un lato erano parte del suo stesso personaggio esuberante, dall’altro sono le forme che nella “poetica” di Buonoconto assumono gli orpelli esteriori di una società sempre più ubriaca di orge consumistiche e di bisogno di apparire.
Molte opere realizzò sul tema dell’esoterismo e del simbolismo, si diceva, ma degna di nota è anche la serie “Sirene”, sua ultima produzione, in larga parte incompiuta, e “Androidi”, sull’attualissima realtà dell’incontro uomo-macchina.
Di queste due serie sono presenti in mostra alcuni lavori, insieme a una piccola selezione di altre opere ispirate alla tradizione esoterica e alla cultura napoletana, arricchite da un paesaggismo fantastico e metafisico e da un’autentica, sacra devozione al corpo femminile.

Martin Rua, 2021
da “Di Androidi, Sirene e altre storie. Mario Buonoconto, retrospettiva al Museo di Capodimonte” 

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Il mio ricordo di Mario Buonoconto pittore  

“Il colore? Non è ciò che vedi, lo devi sentire.”
Non posso dimenticare le sue parole e non posso non ricordare le lunghe sessioni di lavoro con lui.
Non era solo un Maestro, era “il Maestro”.
Mario Buonoconto pittore, trentacinque anni fa, per un anno intero, fu la persona che mi diede tutte le basi per creare ciò che sono oggi. La sua abilità come Artista era evidente e riconosciuta, e io ero una giovane donna che cercava avidamente di scoprirne i segreti, ma lui era generoso, regalava a piene mani il suo “sapere”. Quando arrivai la prima volta al suo studio, ebbi subito la sensazione di essere nell’antro della Sibilla, Mario era seduto e cominciò a parlare: era immenso ai miei occhi, sembrò istantaneamente un amico, un vate, ma soprattutto un nobile, e non perché lo fosse davvero, la sua era la nobiltà della cultura e delle mille esperienze della sua vita. I suoi racconti si intrecciavano e vivevano nell’uso dei colori, la sua tavolozza era esattamente come le tavole di Mosè, regole precise da seguire con attenzione, guai a spostare una lacca di garanza dal suo preciso posto. Non posso dimenticare come poggiava tutti i colori ad arco su di un cristallo limpido e sempre pulitissimo, con il pennello e la giusta quantità di olio di papavero, faceva scivolare i colori e ne creava milioni di altri. E dopo?
Le sue parole.
Le sue non erano “lezioni”, erano una scoperta continua: “il colore non esiste” diceva “è la radiazione che il tuo occhio percepisce. E allora ne devi saper guardare le mille sfumature, le puoi creare all’infinito”.
La sua conoscenza di tante cose mi colpiva, era difficile stargli dietro, ma era il mio vanto riuscirci. Le sue opere erano la sua immagine, c’era tutto il suo sapere, ma anche la sua umanità, un’alchimia irripetibile e indimenticabile.
Tu sei qui con me da sempre, ti vedo con la tua cappa di velluto nero e il tuo cappello a falde larghe. La mia tavolozza non è come la tua, è un caos di colori, ma so che capirai!

Ciao Mario.

Valeria Corvino, 2021
da “Di Androidi, Sirene e altre storie. Mario Buonoconto, retrospettiva al Museo di Capodimonte”

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Mario Buonoconto

Nella seconda metà degli anni ’60, Portici era una cittadina che ancora godeva del ricordo dei nostri padri e dei nostri nonni. Me l’avevano sempre descritta come un bellissimo luogo, forse il più bello dell’hinterland napoletano. Era il posto che aveva vissuto la storia dei secoli passati come la perla dei fasti dei reali di Napoli, il luogo della villeggiatura dei nobili, prima che diventasse poi, negli anni ’90 e oltre, famigerata come uno dei vertici del triangolo della droga e del taglieggio.
Io pure, in prima persona, fui vittima della malavita porticese, ma questa è un’altra storia che avrei vissuto più in là.
Allora, spesso me ne andavo a passeggiare e fumare di nascosto in compagnia del mio amico Salvatore per i viottoli del bosco reale, le stradine del porticciolo oppure a chiacchierare seduto sui parapetti del vialetto della stazione. Compravamo dal tabaccaio del Granatello 2 o 3 nazionali senza filtro che costavano allora 9 lire l’una e le fumavamo parlando di ragazze (che non avevamo), oppure di crisi esistenziali. Passeggiando, spesso ci capitava di incrociare una figura di uomo insolita, per quei posti, per quei tempi, per tutto… A me quest’uomo faceva sempre un po’ paura, vestito come era: corpulento, con un completo di velluto tra il verde e il marrone e un papillon di fantasia regimental, intabarrato da un mantellone che gli arrivava quasi ai piedi e con cappelli molto simili a copricapi marocchini oppure a prelatesche papaline. Barba e baffi, molto spesso particolarmente lunghi, si lasciava anticipare da un colpo di bastone, che lanciava in avanti col polso, quasi a scandire il tempo. Solo più in là seppi che si trattava del Maestro Mario Buonoconto, pittore e professore del Liceo scientifico Filippo Silvestri.
Non avevo mai sentito parlare di lui da nessuno che lo conoscesse, ma le voci che giravano erano quelle di un uomo con molti segreti, molte donne e tanta conoscenza. È chiaro che quando ebbi l’opportunità di conoscerlo, ne fui subito affascinato.
Fu un po’ di anni dopo. Già mi interessavo di teatro e avevo avuto la possibilità di far parte di un gruppo, quello di Lello Ferrara, che poi a sua volta era una appendice del Centro Teatro Dialogo di Lucio Beffi. Lo spettacolo era “Bertoldo a corte” e io ero stato “scritturato” per il ruolo del Bargello.
Quello spettacolo ebbe anche una recensione dal foglio “La torre”, firmata da un tal Sergio De Gregorio, sì, proprio quello indagato e colluso nell’affare della compravendita dei senatori targato Popolo della libertà. Ebbene, in una di quelle prime prove di lettura, comparve Mario, con Lello artefice di numerosi scontri intellettuali e non, ma evidentemente quello era un periodo di pace. Mario era stato chiamato per creare le scene e i costumi, gli oggetti di scena, e, già che c’era, anche i programmi di sala insieme a Teresa Girosi, anch’ella pittrice e in quel tempo sua compagna.
Quello spettacolo fu un successo per l’epoca.
A teatro, il sabato e la domenica, venivano intere famiglie di persone assolutamente sconosciute, attirate dall’eco che avevamo prodotto, e Mario trionfò per la sua parte. Fu l’inizio di una lunga collaborazione di lavoro che ci vide sempre molto uniti. Per me era il padre teatrale che mi suggeriva, consigliava, dirigeva e io ero per lui il figlio maschio al quale trasfondere la passione per lo spettacolo e per il quale vedeva un futuro da attore e non solo. Quando ci trasferimmo in via Benedetto Cozzolino, a Ercolano, io e altri, come Alfredo De Pasquale, Imma Marolda, Attilio Calvano e Salvatore Iuliano, gli demmo addirittura una mano, per quanto le nostre conoscenze scenotecniche ce lo permettessero, a costruire letteralmente il teatro de “I Rinnovati”, compreso il garage sottostante alla sala che Mario, da solo, trasformò in uno spazio camerini con tende, mensole, luci e specchi.
Insomma, il tanto per farci sentire una compagnia con la “C” maiuscola e attori a tutti gli effetti.

Pino Calabrese, 2021
da “Di Androidi, Sirene e altre storie. Mario Buonoconto, retrospettiva al Museo di Capodimonte”

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Note biografiche

Mario Buonoconto nasce a Napoli il 3 luglio 1940, terza generazione di pittori (l’attività in campo artistico di Alberto, Aldo e Mario Buonoconto copre ininterrottamente circa un secolo di pittura napoletana). Completa gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e, da giovanissimo, partecipa alla vita artistica e culturale della sua città con articoli, conferenze e corsi di storia dell’arte riguardanti, in particolare, quella napoletana.
Dal 1960 tiene “personali” nelle maggiori città d’Italia e  all’estero (Lugano, Cadiz, Pittsburg). Nel gennaio del 1971 fonda con Pelosi, Cerino e Vitagliano il “Gruppo N4” che opera nell’ambito della Galleria “La  tavolozza” che dirige con Pelosi. Nel febbraio del 1977, ancora con Cerino, dà vita vita al Gruppo “Figurativa 5” e ne cura il “manifesto”. Si occupa attivamente di Teatro, in qualità di scenografo e costumista, dal 1962  collaborando prima con il “Centro Studi Teatrali E. Zacconi” diretto da Armando Adolgiso e poi con il “Centro Teatro Dialogo” di Portici/Resina diretto da Lucio Beffi. Nel 1977 progetta ed esegue la Sala Teatro per il “Teatro De’ Rinnovati” di via Cozzolino a Ercolano, curando anche le scene e i costumi dei due primi lavori. Nel settembre 1978 coadiuva lo scenografo Giovanni Girosi per la realizzazione della “Festa di Piedigrotta” di Raffaele Viviani con la regia di Roberto De Simone. Nel 1996 cura “l’ambientazione scenografica” (elementi pittorici in diaproiezione) di tre spettacoli di Ruggero Cappuccio: “Desideri Mortali” per la coop. La Sfinge, al Teatro Valle di Roma, “Nel tempo di un tango” per Benevento, Città Spettacolo e “Re Lear” al Verdi di Salerno per la coop. Teatro Segreto. È degna di nota anche la sua attività di restauratore (Arciconfraternita della SS. Trinità di Ercolano, chiesa del Carmine di Gragnano). Nel 1991 esegue il “Battesimo del Cristo” per il fonte battesimale della chiesa parrocchiale di Cascano di Sessa Aurunca, dove cura anche il restauro delle tele e degli affreschi. Nel 1992 restaura la tela della “Madonna del Rosario” nella cappella di San Felice di Sessa Aurunca e nel 1996 si occupa del restauro degli affreschi e della pala lignea della cappella della Confessione della chiesa dell’ex-convento di San Francesco di Paola di Cimitile (proprietà Lenzi). Con la moglie Maria Grazia Ritrovato, pianista e compositrice, forma nel 1983 il Duo Melopea, voce recitante e pianoforte, per divulgare una particolare espressione musicale per molto tempo sottovalutata, tra i pochissimi del genere in Italia. Il duo tiene concerti a Roma, Napoli, Bologna, Potenza, Procida, Ravello e Sessa Aurunca. Merita particolare menzione lo spettacolo/concerto tenuto a San Severo di Puglia in occasione del “Bicentenario dei Moti Rivoluzionari del 1799”.
Tra il 2001 e il 2002, Mario Buonoconto tiene ancora qualche “personale”, soprattutto, a Napoli, mentre la sua ultima apparizione pubblica è del 27 settembre 2003 a Ischia, in occasione dell’assegnazione del Premio “Domenico Rea”, di cui fu presidente della giuria.

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Mario Buonoconto pittore

“….Un uomo di ricca e dinamica vita anche interiore, Buonoconto è sempre disposto a mettere il dito su qualsiasi forma di fanatismo, soprattutto religioso e politico. Lo dimostrano i suoi quadri così prodighi di riferimenti reali, con la sconcertante rappresentazione di elementi sacri, di amuleti che convivono con oggetti della società dei consumi che acquistano un efficace ruolo dissacratorio ed ironico. Il quadro viene visto quasi come spettacolo totale di vita, quella che si può cogliere, del resto, nel folcloristico mondo napoletano. La forma prediletta è quella di una particolare oggettivazione del sentire dell’autore del sentimento serio della realtà, ma Mario Buonoconto pittore sfrutta la possibilità di dissociazione compositiva per pervenire ad una fantastica impaginazione anche quando il quadro sembra essere strutturato in senso geometrico. La sua è una lotta innovatrice non solo nella cultura, ma anche nello stile. Subito dopo gli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, Mario Buonoconto ha guardato alla Pop-art, ha sperimentato l’informale che egli ritrova nella creatività del gesto artistico, in un impulso primario profondo anche ora che ha sposato la figurazione del buon senso e della logica”.

Michele Fuoco, 1983
da “Il Giornale”

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“Baroque” e simbolismo di Mario Buonoconto pittore dopo la lezione del Mondrian 

La formalità religiosa, dove, cioè, il potere spirituale si prostituisce col potere temporale, ha costituito un proscenio sulle tele del Buo­noconto per il quale tonache e porpore sono sfilate nel parossismo stucchevole ma non astratto dell’equivoco: assieme all’insania del potere civile, dove l’abbrutimento raggiunge vertici da capogiro.

Rifuggo dalla ripetizione — repetitio semper iniqua — di sottolineature ormai fruste per evidenziare piuttosto come non abbia incontrato nella mia pur attenta e scrupolosa consultazione, che Mario Buonoconto pittore, già nella sua primaria preparazione e studio della Storia dell’Arte contemporanea, abbia saputo cogliere la lezione del Mondrian della semplificazione dell’ossatura dell’immagine fino a raggiungere una articolazione spaziale, come essenza formale dal rigore allegoricamente astrattista. La superficie globale quadrata o rettangolare fratta in tanti quadrati o rettangoli, insomma, diventa una superficie zonata in modo che ciascuno spazio diventi spazio sociale e spazio neoplastico: ma per accogliere una figurazione allegorica e simbolistica come se, ricorrendo alle tecniche scenografiche, ciascuna articolazione spaziale zonale diventi luogo deputato alla narrazione barocca e ritorcendo la caratterialità «baroque» attraverso le figurazioni che, sul condotto cromatico vivo e vini-lento supportano significante e significato del polilinguismo tematico.

Altrove ho letto di qualche indicazione di espressionismo: a valutare le opere del Mario Buonoconto pittore, però, (ma debbo onestamente dichiarare di non avere conoscenza totale della sua numerosa produzione che non so quantificare) mi sembra che non valga la pena di soffermarmi su attribuzioni correntistiche almeno in questa sede, aperta ad ospitare più un pensiero indicativo della sua filosofia operativa che un indotto alle sue ascendenze didattico-magistrali. E tanto menziono ed affermo perché l’importanza del narrato travalica, a mio avviso, ogni altra considerazione tecnica: importante certamente quanto si voglia ma non in subordine all’insieme della contenutistica, che ad una indagine «desquarnatoria » — mi si passi il termine — offre la grammatica delle emozioni subite e patite dal Buonoconto e da lui verificate al museo della conoscenza prima che ordisse le figurazioni. Anzi mi par giusto teorizzare che nel Buonoconto l’arte debba essere figurativa veristica e non debba volgersi all’informale o al parainformale, rispondendo alla creazione come fantasia e alla fantasia come energia creativa in quanto traduttrice dell’astratto pensiero in pensiero descritto. Così si spiegano le articolazioni delle tappe del suo percorso artistico, dai personaggi regali in cui la satira prevarica lo psicologico, a quelli attori della pagina inquisitoria, in cui la caricatura prevarica la storia nel suo corso e nei suoi ricorsi; dalle coatte Velate, in cui il patetico sovrasta la laconicità, alle azzimate principesche del Sansevero, dove la voluttà ha il sapore della beffa e la sconsideratezza dell’ipocrisia; dal Jolly al Paggio alla Veggente; nelle nature morte, o, piuttosto, nel loro prorompere verità di natura con armonie tonali pressoché sinfoniche (senti la musica del Petrassi). A proposito di natura, una fondamentale lettura mi sembra richiedano le opere dell’ultimo biennio, potrei definirle tipicamente del periodo ponziano (isola di Ponza), dove ha più evidenti trasporti di richiamo dal Barocco, quel Barocco squisitamente napoletano, specie per la presenza a pieno campo di un amorino alato vindice, organizzate a mo’ di dittico dagli elementi sovrapposti, dove mi sembra il Buonoconto abbia trovato l’elemento didattico ed indicativo delle aspirazioni quando pone in ascetica evidenza i megaliti affioranti dalle acque del Tirreno e titanicamente proiettati verso l’indaco. Ma per lo più le divisioni degli spazi, come suddetto, tendono ad una contrazione che intendono assolutizzarne uno, centrale ed a mo’ di cartiglio, già precedentemente presente come idea ed organizzato in una linguistica diversa, ora facendosi assunto del divenire reale ed animistico astratto per concreto, come detta il bianco brillante, onde si significa, e, qua e là, qualche simbolo allegorico che vi è segnato.

Mi sembra superfluo dire che il simbolo del putto rifugga dall’essere messaggero d’amore nel senso antico e piuttosto potrebbe leggersi come un attributo di Erato, musa della poesia lirica: d’altronde è nella condizione deontologica dell’arte, che Mario Buonoconto pittore fa sua, l’aspirazione alla migliore poièsis come costruzione del divenire del progresso umano sia attraverso la parola che attraverso l’immagine.

E l’Uomo contemporaneo, che, a proposito dell’arte nella sua polimorfia, ha saputo costruirsi un aspetto della propria cultura civile, che ha chiamato Civiltà dell’Immagine, esalta l’immagine al punto da coinvolgere nel suo divenire e caratterizzare aspetti che scientificamente aveva provato appartenere al mondo primitivo propriamente detto o al mondo antico e medio per estensione. Non escluso financo il mondo dell’infanzia e dei precordi della prima giovinezza: e mi riferisco specie al mondo onirico. E spiego così quello che ho sottolineato essere il comportamento « baroque » capriccioso e scanzonato di un popolo o dell’Uomo sociale contemporaneo, al quale eufemisticamente quanto liricamente Mario Buo­noconto pittore rende la pariglia a specchio del grande mattatoio, che è la commedia umana.

Antonio Uliano, 1988

 

MarcianoArte, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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