Quintino Scolavino, Lo scontro con i popoli vicini

Autore:SCOLAVINO QUINTINO

N. - M. :Bagnoli Irpino, 1945 - Napoli, 2020

Tecnica:Tecnica mista su cartoncino

Misure:36 x 24 cm

Anno:1997

Classificazione: Figure, Moderni, Figurativi, Altre Tecniche

Note Critico - Biografiche

QUINTINO SCOLAVINO

Bagnoli Irpino, 1945 – Napoli, 2020

 

Lo scontro con i popoli vicini

Dipinto del pittore Quintino Scolavino
Quintino Scolavino – Lo scontro con i popoli vicini

Opera pubblicata a pagina 28 del 2° fascicolo della “Storia di Napoli illustrata. Una terra si racconta“.

 

Quintino Scolavino nasce a Bagnoli-Irpino nel 1945. All’età di cinque anni si trasferisce con la famiglia a Napoli, dove compie gli studi, che si concludono con il diploma dell’Accademia di Belle Arti. Alla sua formazione contribuisce in maniera determinante Luca (Luigi Castellano), che muovendosi tra sperimentazione ed ideologia, gli indica un modello di cultura aperta e sottilmente critica. Insieme e con la partecipazione di altri artisti (Brancaccio, Davide, Del Vecchio, Desiato, Maraniello, Marino, Pappa, Trapani) fondano il GRUPPO STUDIO P.66, le cui opere si distinguono per una valenza neo-dadaista, iconica, di non identificazione, di strabismo, ludica, di un’iconografia che, guarda caso, quando accenna ad una riconoscibilità, tratteggia figure che appartengono all’antropologia napoletana (Bonito Oliva). Sempre con lo stesso gruppo redige il Manifesto dell’UNIFILM ed attiva in varie città del Sud show-off, proiezioni di diapositive e film sul pubblico, finalizzate a coinvolgere i partecipanti e ad evidenziare il mutamento dell’immagine.

Nello stesso periodo collabora alla rivista NO (Nuovo Operativo di comunicazione di massa e cultura di classe) diretta da Luca e partecipa ad alcune mostre della Pop-Art. Nel 1968, con Del Vecchio, presenta al Teatro ESSE di Napoli lo spettacolo-oltre La presa del comodino, con testo di Pierre Restany.

Produttore politecnico/versatile di oggetti d’arte, nel 1969 attiva i Cavalletti Relativi, caratterizzati da un congegno che svolge un rotolo di carta (a segnare il tempo che passa) sul quale scorre la scrittura. Viene, così, ad operarsi una deformazione del segno che si offre alla simultaneità nella coincidenza del tempo scrittura/lettura. La coscienza dell’alienazione e solitudine in cui versa l’uomo contemporaneo, lo porta a produrre, tra il 1965 e il 1975, i Servomeccanismi, integratori agli organi sensori (mano, orecchio, naso, ecc.), che, indossati, permettono all’individuo di partecipare alla vita collettiva. Per Scola­vino, se da una parte essi sono la rappresentazione in chiave simbolica dell’universo tecnologico-produttivo in un quadro sociale di tipo capitalistico, dall’altra tendono alla presentazione di un strumento alienante che, nato per ausilio, finisce per coinvolgere, circoscrivere il vivente.

Convinto della non separatezza tra passato e presente, in una concezione astorica del tempo, tra il 1974 e 1975 esegue una serie di false tele antiche, con le quali, attraverso un’operazione concettuale, compie una rivisitazione del passato, mediata da cancellazioni-destrutturazioni. Negli anni immediatamente seguenti Scolavino è impegnato in numerose rassegne: L’oggetto Manifesto, ovvero la nuova scultura italiana curata da Luciano Inga-Pin (1981), Terremoto (Castel dell’Ovo, Napoli 1981) e la Biennale di Venezia del 1982, dove presenta Fare orecchio da mercante. L’opera, che consiste nella riproduzione in creta del labirinto auricolare, solleticato da una piuma mossa da un congegno meccanico, è la riduzione di quella visionarietà tutta sua, che dalla lingua e dalle sue costruzioni aforistiche o conianti modi di dire emigra all’occhio e all’immaginario (Corà). Dalla consapevolezza dei numerosi stimoli alla libertà e alla fantasia, insiti nella lingua, quando si tratta soprattutto del dialetto, nasce il Venditore di Napoli, del 1984: un’inerme creatura che si ripete ossessivamente all’infinito. Con lucida e fredda determinazione Scolavino affronta il tema della clorazione genetica, che ritornerà in forma più violenta e sarcastica, anche nella recente produzione (il Venditore del terzo millennio del 1997) ad evidenziare quell’ultima illusione che ci rimane, capace di mostrarci il nostro primo-ultimo compito, raccontandoci la situazione-spettacolo dell’essere coautori del mondo (Luca).

La capacità di uscire da sé crea una,visione diversa del sé e del mondo, ai parametri tradizionali di lettura e comunicazione se ne sostituiscono altri del tutto nuovi ed inaspettati. Dal Ferro da stiro, al Piccolo labirinto, alla Breve storia di un viaggio intorno, alla Sedia natura, installazioni eseguite tra la fine del 1987 e il 1989 e fino a Luminoso tangibile ed Ancora del 1990, l’ironia gioca su diversi oggetti, collocati in uno spazio idealmente vuoto, continuamente espropriati della loro ovvietà o rimessi in gioco da un trasferimento linguistico (àncòra). Sempre più impegnato nella verifica dei rapporti che intercorrono tra arte e scienza, legate dalla comune esaltazione della capacità trasformativa e rappresentativa dell’intervento umano, nel 1995, insieme a Gabriele Castaldo, Antonio De Filipis, Carmine Rezzuti ed Errico Ruotolo dà vita ad un progetto che mira a risarcire la distanza non solo fra gli oggetti d’arte e i fruitori, ma anche fra il discorso artistico e quello scientifico, nei luoghi e paesaggi urbani. All’operazione, che prevede l’installazione di cinque opere a tema, progettate e realizzate appositamente per l’occasione, si accompagnano anche una serie di performance, quale ulteriore elemento di raccordo fra ciò che lo spazio prescelto mostra e.l’azione progettata. Orologio ad acqua presentato all’Acquario di Napoli è il primo di questi interventi, cui seguono, sempre nella città partenopea, nel 1996 Sidereus Nuncius presso l’Osservatorio Astronomico, La Flors Enversa presso l’Orto Botanico. Ancora una volta Scolavino con estrema coerenza dà forza a quell’idea che, nella libertà del pensiero e del fare, vede l’unica fonte di una fertile creatività immaginativa.

AURORA SPINOSA

 

 

Marciano Arte, galleria d’arte e cornici, Napoli

Salvatore Marciano

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