Autore:FERGOLA Luigi e ALOJA Vincenzo
Disegnatore:Alessandro D'ANNA (1716 - 1810)
Incisione:Vincenzo ALOJA (1769 - 1817)
Editore:Nicola Gervasi
Tecnica:Acquaforte
Periodo:1804 Napoli
Misure:30 x 22,5 cm su foglio 46 x 32,5 cm
Soggetto:Pompei
Le tre vedute di Pompei sono le tavole numero sette, otto e nove delle vedute della città di Napoli e Pompei facenti parte dell’opera di Fergola e Aloja. Incisioni su rame tratte da: “Raccolta delle più belle vedute di Napoli e dei suoi abitanti disegnate da Luigi Fergola e incise da Vincenzo Aloja” – titolo completo in originale: “Recueil des vues les plus agréables de Naples et de ses environs. Pour la premier fois desinèes d’après nature par M. Louis Fergola et gravees par M. Vincent Aloja. Dedie à son Excellance le Marquis Antoine Forcella. Chevalier du Sacre Ordre Ierosolomitain &c. &c. A’ Naples Chez Nicolas Gervasi Marchand d’estampes Rue du Gigante n.23” – L’opera, pubblicata nel 1806, a cura di Luigi Fergola, fu distribuita dal Gervasi ed ebbe altre edizioni nel 1810 e nel 1817. Aloja, tra il 1804 e il 1806, incise le tavole, quasi tutte disegnate dal Fergola stesso, alcune da Filippo Hackert e altre da Alessandro D’Anna (vedute di Pompei) e da Carlo Grasso. Le tavole hanno didascalie bilingue.
Di questo artista abbiamo scarne notizie sui suoi dati anagrafici e sulla sua formazione. Padre del più noto Salvatore nacque intorno al 1770, secondo il Napier aveva un impiego nell’ufficio di stato di tipografia, ma pure dipingeva paesaggi specialmente a tempera nella scuola di Hackert ed ottenne la protezione della regina Maria Carolina. Vincenzo Aloja nel 1804/5 aveva inciso delle sue opere nella pubblicazione “Receuil des vues les plus agrèables de Naples”. Nel 1805 nel volume sulle eruzioni del Vesuvio, edito dal duca Ascanio della Torre compaiono opere a sua firma. Nel 1823 litografò con Gennaro Aloja una serie di paesaggi napoletani. Nel 1859 nell’apprezzarlo come paesaggista lo lodò per “la freschezza e varietà della vegetazione e per la fluidità dell’aria”. Dei pochi dipinti giunti sino a noi possiamo ricordare: “Festa in S. Leucio” datato 1805 ed attualmente presso la Reggia di Caserta, la cui impostazione “plastico a volo d’uccello” lo ricollega, secondo l’Ortolani al vedutismo napoletano legato ai modi hackertiani, “Capodimonte e le ville site lungo la strada dei Ponti Rossi” recentemente attribuito al Fergola, “Paesaggio” siglato L.F. , sulla cui base Marina Causa Picone gli ha attribuito una serie di acquerelli conservati presso la Società Napoletana di Storia Patria ed un gruppo di disegni del Museo di San Martino.
Incisore attivo a Napoli fra la seconda metà del sec. XVIII e la prima del XIX. Figlio di Giuseppe e nipote di Raffaele, entrambi incisori di professione. Sicuramente Vincenzo Aloja è la figura di maggiore rilievo tra i membri della sua famiglia. Si deve all’Aloja la traduzione in rame del famoso “Corso di principi di disegni di paese ecc.” di Jakob Philipp Hackert (Napoli, 1790), in cui sono dettate le regole per l’adozione di una sorta di “grammatica del paesaggio”, che, ridotto ai semplici contorni, mirava a rendere i siti e gli oggetti in tutti i loro particolari. Con lo stesso criterio l’Aloja incideva, aiutato per i disegni preparatori da Luigi Fergola, Alessandro D’Anna e da altri, le vedute di Napoli e dintorni dello stesso Hackert, che poi sarebbero uscite a cura del Fergola, con il titolo in francese di “Recueil des vues les plus agréables de Naples et de ses environs” (1804; integrate, con il titolo italiano di Raccolta…, ecc., nel 1806). Con sentimento più personale l’Aloja incise un ritratto di Giovanni Paisiello, da E. Vigée Le Brun, ed alcuni paesaggi suoi ed altrui. Fin dal principio dell’800 l’Aloja ebbe cattedra nell’Accademia di Belle Arti di Napoli accanto a Guglielmo Morghen. Questi insegnava incisione di figura, a lui, invece, era riservato l’insegnamento dell’incisione di paesaggio. Veniva infusa così nuova e metodica vita a quella scuola partenopea d’incisione al bulino e all’acquaforte sul rame tenuta a battesimo dall’illustre Antonio Porporati. In talune delle stampe di Vincenzo Aloja si legge la firma Alloja, per raddoppiamento dialettale della consonante. La lettura Allaja è invece errata, dovuta ad una lieve trasgressione del bulino, e non va presa in considerazione.
Figlio del pittore palermitano Vito esordisce affrescando nel 1769 la Chiesa di S. Ninfa a Palermo eseguendo una “Vergine”, “S. Anna e S. Luigi” successivamente, nel 1771 affrescò la Cappella di Gesù e Maria nella chiesa di S. Sebastiano ad Acireale. Il D’Anna è ricordato soprattutto come pittore di gouache ed incisore, collaborò con il De Bottis eseguendo due eruzioni del Vesuvio viste da Santa Lucia per il volume sulle eruzioni del Vesuvio pubblicato a Napoli nel 1779; l’artista eseguì, nei modi del Fabris, gouache raffiguranti scene di vita popolare: “Scene di vita popolare a Mergellina”, “Davanti all’osteria”, “La tarantella” databili tra il 1780 e 1782 e numerose opere raffiguranti paesaggi urbani e dintorni di Napoli. Su incarico di Ferdinando IV, tra il 1786 e il 1789, disegnò i costumi degli abitanti delle province del Regno per la Real Fabbrica di Capodimonte, eseguì inoltre sei tele che raffiguravano le caccie di Carlo di Borbone. Fu collaboratore dell’Ufficio topografico del Regno e nel 1784 disegnò il cartiglio della “Carta topografica delle Reali Caccie di Terra del Lavoro e loro adiacenze” ed il frontespizio dell’ “Atlante”. Vincenzo Aloja nel 1804/5 aveva inciso delle sue opere su Pompei nella pubblicazione “Receuil des vues les plus agrèables de Naples”. Ultima testimonianza certa della permanenza a Napoli del D’Anna è un disegno raffigurante “Costumi del distretto d’Amantea in Calabria Citra” datato 1810 e conservato nel Museo di San Martino di Napoli.